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 2024  maggio 01 Mercoledì calendario

Intervista a Martina Corgnati


Brecht e il festival di Sanremo, la musica leggerissima e i grandi teatri, la voce profonda e la criniera rosso-fuoco. Maria Ilvia Biolcati in arte Milva, rivive nel doc Milva. Diva per sempre diretto da Angelo Longoni, (il 3 maggio in prima serata su Rai3). Tra le voci che ricostruiscono quel complesso puzzle che fu la sua vita c’è la figlia Martina Corgnati, docente universitaria, storica dell’arte, che alla madre ha già dedicato un libro, Milva. L’ultima diva. Autobiografia di mia madre (La Nave di Teseo).
Che ricordo ha di lei?
«Come tutte le madri fu tante cose contemporaneamente: dipende dai momenti della vita. Ricordo una donna schiva, pochissimo mondana. Aveva bisogno di privacy e di tempi solo suoi. Anche quando viveva con un compagno, amava stare da sola, isolarsi. Le serviva per recuperare le energie»
Aveva un luogo del cuore ?
«Appena poteva si rifugiava nella casa che ebbe per tanti anni sul Lago di Como. Tant’è che, pur avendola venduta, ha voluto essere seppellita a Blevio. Lì sono anche i suoi genitori (che aveva fatto portare). Il lago, discreto e lontano da ogni clamore, la rilassava»
Ricordi di vita in comune?
«Da piccola pochi: vivevo con i nonni in Piemonte e la vedevo poco per via delle tante tournée e della sua vita sentimentale complicata. Però c’era un momento inderogabile per stare insieme: il Natale. Ricordo tutta la famiglia riunita, i nonni, gli zii Luciana e Antonio. La preparazione del Presepe e dell’Albero. Il Natale era sacro».
Con lei non visse mai?
«A partire dai 13 anni. A Milano. Per ultimo nella casa che lei abitò fino alla fine. E che oggi è la sede di Insula Felix, la fondazione da lei istituita».
Difficile essere figlia di Milva?
«Condizionante in modo radicale e impegnativo. Un abito faticoso da indossare: nessuno ti tratta in modo normale e per quello che vali, anche se tu fai di tutto per far dimenticare chi sei. Avrei voluto il silenzio su di me. E invece casa era stretta d’assedio dai paparazzi. Solo quando il rapporto con Massimo si stabilizzò, si calmarono. Il periodo peggiore (ero alle elementari) fu quello della separazione da mio padre e della storia con Mario Piave».
L’idea del docufilm è sua?
«Di Longoni. La proposta di collaborare alla sceneggiatura mi arrivò subito dopo la morte di mamma. Non avevo neppure cominciato a scrivere il libro. Produrlo però è stato un processo lungo, complicato dalla pandemia. Intenso, poetico ed emozionante».
Sua madre fu una grande artista, con una vita ricca di riconoscimenti. Direbbe che fosse una persona felice?
«Felice non direi. Ebbe momenti di benessere, periodi belli e pieni di gioia e serenità. Soprattutto gli anni in cui visse con Massimo Gallerani, anche se poi quando finì soffrì tantissimo».
Sua madre si sposò a vent’anni, suo padre Maurizio aveva quasi il doppio dei suoi anni. Come era il loro rapporto?
«Lo amò moltissimo. Ma forse non fu un rapporto equilibrato. Ma è con lui e grazie a lui che ha costruito sé stessa come personaggio. Lui le fece incidere I Canti della Libertà e la indusse a eseguire un repertorio folk, di canzoni popolari»
Come approdò al Piccolo e a Strehler?
«Si conobbero un 25 aprile: Paolo Grassi le aveva chiesto di cantare in occasione delle celebrazioni per il 25° anniversario della Liberazione. Non ebbero mai una storia, ma lui fu attratto dalla sua voce e dalla personalità. Vide “altro” in lei. Da lì Brecht, Jenny dei Pirati e L’opera da tre soldi con Modugno, Tedeschi e Lazzarini, La cantata di un mostro lusitano... Ne fece un’attrice»
Mina e Milva: quanto era vera la loro rivalità?
«Quasi inesistente. Nel 1961 a Sanremo mia madre si classificò terza con Mare nel cassetto, Mina, già popolarissima, le arrivò dietro: pare si fosse arrabbiata molto. Ma tutto finì lì. Mamma la stimava: era una grande interprete da studio. Mentre lei viveva del palcoscenico e del contatto col pubblico».
All’inizio era mora. A chi si deve il celebre colore di capelli?
«Se l’è costruito lei, a partire da quella gran massa di capelli: prima castano fulva, poi rossa, di una tonalità che scelse lei. Con la canzone La Rossa Jannacci la consacrò».
Nel documentario si parla dei problemi alle corde vocali.
«Non aveva appreso la tecnica dei cantanti lirici, ma non la risparmiava mai, sia come emissione che come quantità di impegni. Cominciò abbastanza presto a dover subire interventi alle corde vocali (non ricordo si sia mai lamentata del dolore, che pure doveva esserci) e a usare dosi massicce di cortisone. Penso sia stato quello che le ha minato la salute e alla fine accorciato la vita. Senza non avrebbe potuto cantare in quel modo. Ha pagato un prezzo molto caro per la sua arte».
Come definirebbe il lavoro che fa su sua madre?
«Provo a tenere in vita la sua memoria (già un po’ appannata per certi versi) girando intorno al vuoto che è la sua assenza» —