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 2024  maggio 01 Mercoledì calendario

Intervista a Luca Ricolfi


Allarme giovani. Gli ultimi dati sui nostri ragazzi ci restituiscono una loro sofferenza in gran crescita. L’impennata è stata registrata dal 2019 al 2023 con un notevole incremento dei casi di bullismo e baby gang. A questi si aggiungono segni di deterioramento nella condizione mentale degli adolescenti: da anni sono in aumento ansia, depressione, isolamento, disturbi alimentari, autolesionismo, ideazione suicidaria, tentati suicidi e anche riusciti. Più di 11 milioni di bambini e di giovani soffrono di un disagio psichico e, sempre secondo il Rapporto sull’infanzia nell’Unione europea 2024 di Unicef, ne sono afflitti un quinto dei ragazzi tra i 15 e i 19 anni. Siamo entrati nell’età del malessere under 20? Sono stati il Covid e l’isolamento i grandi responsabili?
Giriamo la domanda al sociologo Luca Ricolfi, presidente e responsabile scientifico della Fondazione David Hume che negli ultimi tempi si sta dedicando alla ricognizione e individuazione delle cause delle difficoltà dei più giovani.
«Una possibile spiegazione di quello che si sta verificando nel mondo giovanile, e che peraltro ha sollecitato anche un gran dibattito negli Stati Uniti, è che con la fine della pandemia sia accaduto tra i ragazzi quel che è avvenuto nel mercato del lavoro: un balzo in avanti nel livello di aspirazione, accompagnato da forme di rivalsa e risentimento, ma anche da tanta insicurezza e solitudine. Durante il Covid un po’ tutti abbiamo ripensato le nostre scelte esistenziali, e mediamente ne siamo usciti con aspirazioni più alte di prima. Ma non sono solo queste le ragioni delle patologie di figli e nipoti».
Quale allora l’origine dei disturbi giovanili?
«Abbiamo verificato che in tutto il mondo occidentale la svolta del malessere è intervenuta intorno al 2012. Una data qualsiasi? Macché. Il cambiamento si è verificato proprio nel momento della diffusione di un’importante evoluzione tecnologica, quando, grazie all’iPhone 4 e alla fusione Facebook+Instagram, la generazione Z è massicciamente approdata sui social media. Fino a pochi anni fa il racconto ottimistico che dipingeva i social come strumenti di conoscenza, socializzazione, libertà, apertura ed esperienza poteva convivere con il racconto opposto, che denunciava i danni neurologici, psicologici ed esistenziali. Ora non più, l’evidenza scientifica contro lo smartphone è schiacciante. È la porta di accesso spalancata al peggio di internet e dei social (pornografia e violenza)».
Sono così fragili gli under venti, tanto da farsi condizionare dai social media?
«Nel cinquantennio che va dal 1969 (anno dell’esame di maturità facilitato e della liberalizzazione degli accessi all’università) fino al 2019, ossia all’ultimo anno prima del Covid, la crescita dei giovani ha goduto di condizioni sempre più favorevoli, sul piano materiale, del tenore di vita, della libertà. Ma è proprio questo il nodo: la rimozione di ogni ostacolo, restrizione, divieto, ma anche di ogni riconoscimento del merito, alla lunga finisce per distruggere le basi psicologiche della felicità, come già venti anni fa, per esempio, aveva spiegato benissimo la psicologa Hara Estroff Marano in A nation of wimps (Una nazione di schiappe). L’uso dei social media è all’origine di moltissime forme di depressione».
Qual è il meccanismo indotto dal web che mina le basi del benessere giovanile?
«È la competizione. Non quella per il successo scolastico, come ingenuamente credono gli osservatori più ideologizzati, ma quella per la popolarità nel gruppo dei pari, che passa attraverso i profili social e la vita online. I giovani intervistati, per esempio, in un dossier realizzato da Telefono azzurro, fra i motivi di sofferenza mostrano anche la mancanza di autostima. Tutto dipende dal fatto che, grazie alla rete, ogni adolescente ha milioni di competitor potenziali, e quindi una bassissima probabilità statistica di emergere sugli altri: solo pochissimi hanno doti eccezionali e la gara per la popolarità sui social non può che funzionare come una macchina che genera perdenti, mettendo a repentaglio l’autostima dei più. E ne soffrono in particolare le ragazze».
Come mai proprio le donne?
«Le adolescenti si trovano inevitabilmente invischiate in un confronto sulla bellezza, sul sex appeal, sulla capacità di dimostrarsi precocemente all’altezza delle pretese dei maschi, peraltro ormai infestate dalla pornografia. Mentre i coetanei di sesso maschile hanno parecchi terreni su cui tentare di emergere (bellezza, forza, doti sportive, trasgressività, dominanza), le ragazze – per il modo in cui sono pensate dai maschi – fondamentalmente ne hanno solo due: l’aspetto e la disponibilità. Per una giovanissima, finché resta confinata on line, è difficilissimo imporsi su altri terreni. L’analisi dell’andamento dei suicidi in Italia, che stiamo conducendo come Fondazione Hume, purtroppo conferma questa diagnosi».
Lo dimostra anche l’uso diffuso del sexting?
«Certo, lo conferma la trasmissione di immagini osé o sessualmente esplicite, per lo più per compiacere un partner. Una pratica difesa come normale dai cattivi maestri (ad esempio Roberto Saviano ai tempi del suicidio di Tiziana Cantone), ma vigorosamente scoraggiata dalle donne più impegnate nella tutela delle ragazze (come la giovane giurista Francesca Florio: suo il bellissimo libro Non chiamatelo revenge porn)».
Femminicidi, violenze e ora suicidi, le donne ancora una volta sono i capri espiatori del disagio sociale?
«Sì, ma oggi molto più che dieci anni fa. E le ultime generazioni più di tutte quelle precedenti. Trovare aiuto? È difficile per i giovani di entrambi i sessi. I genitori preferiscono parcheggiare i figli nelle aule scolastiche e consegnarli allo smartphone, come ieri li mettevano davanti al Super Mario, e l’altro ieri davanti alla tv. La scuola è fondamentalmente anti-educativa: anziché allenare i giovani a confrontarsi con le difficoltà, preferisce illuderli con ogni tipo di ammortizzatore. Gli amici spesso assumono il ruolo di rivali, anche perché la maggior parte delle interazioni avvengono online».
Potrebbero aiutarli corsi di educazione sessuale a scuola?
«Sarebbe impossibile non toccare certi temi (transessualità, omosessualità, gestazione per altri, eccetera) e l’educazione sessuale inevitabilmente rifletterebbe le convinzioni ideologiche degli insegnanti. Però non tutte le previsioni sono nere. Fra i membri delle ultime generazioni (Z e Alpha) emergono segnali di saturazione, come se i ragazzi e soprattutto le ragazze, stessero intuendo che i social sono una trappola. Per incentivare questo distacco sono fondamentali crescita e sviluppo accompagnati dalla grande arte: film bellissimi e profondi, grandi romanzi, commedie e tragedie classiche. È questa, secondo me, una delle forme di educazione sentimentale più promettenti per le nuove generazioni». —