la Repubblica, 1 maggio 2024
Vita da guardie svizzere
A volte serve pazienza. «Molta!», esclama Gabriele Scaffetta da Locarno. Questo ventenne del canton Ticino è una delle reclute delle Guardie svizzere, da secoli l’esercito di difesa del romano Pontefice. Il 6 maggio del 1527, sacco di Roma, 147 di loro persero la vita per proteggere Clemente VII dai lanzichenecchi di Carlo V. E ogni anno, il 6 maggio, i loro epigoni prestano solenne giuramento nel cortile di San Damaso, nel cuore dello Stato pontificio. Anche oggi gli svizzeri sono su un fronte, quello delle folle di pellegrini, turisti e curiosi che ogni giorno si riversano in Vaticano. E che col Giubileo del 2025 si moltiplicheranno almeno del doppio.
Ai diversi varchi di ingresso ci sono i soldati elvetici, sono loro che sorvegliano i movimenti della folla, loro che si sottopongono alle mille richieste di selfie con pazienza e cristiana indulgenza. «La sentinella di un’ora al Portone di bronzo la faccio senza problemi, ma due ore sono difficili da passare», sospira durante le prove generali del giuramento Gabriele. E subito aggiunge: «Si può passare il tempo dicendo mentalmente il rosario». Scaffetta è una delle 34 reclute che quest’anno marcerà sotto le finestre del palazzo apostolico, i soldati in tutto sono 135.
Per entrare nel più piccolo esercito del mondo bisogna essere cittadino svizzero, celibe, avere completato la formazione militare elvetica. Bisogna avere almeno 19 anni e al massimo 30, ma già a 16 anni si può fare una settimana formativa a Roma. Bisogna avere una «reputazione impeccabile». Si serve per un minimo di due anni, ma si può rimanere più a lungo. L’anno scorso ha fatto un certo scalpore la comparsa della prima guardia svizzera di colore, Dhani Bachmann, di origini indiane. Possono essere arruolati solo uomini, ma chissà se un giorno la norma cambierà dato che in Svizzera le donne possono fare facoltativamente il servizio militare. È invece impossibile che venga mai meno un altro requisito: essere cattolici.
I rischi oggi sono ben inferiori a quelli del Sacco di Roma ma i pericoli ci sono. Le Guardie svizzere non sono da sole: ad assicurare la sicurezza del Papa e del Vaticano collaborano gomito a gomito con la Gendarmeria e con l’ispettorato di polizia italiana. Le possibili minacce sono le più svariate. C’è il fantasma del terrorismo: dopo gli attentati jihadisti a Parigi del 2016 il Papa ha aumentato il contingente da 110 a 135 guardie. Ci sono i movimenti di folla, che soprattutto durante i grandi eventicome una messa o una beatificazione possono essere imponenti. Ma la cronaca vaticana degli ultimissimi anni ha registrato anche altri episodi, dall’uomo che ha fatto irruzione in auto dentro il Vaticano sfondando il cordone di sicurezza di porta Sant’Anna al criminale Usa pizzicato in piazza San Pietro armato fino ai denti, dal ragazzo salito sull’altare di San Pietro nudo per protestare per la guerra in Ucraina agli attivisti di Nuova generazione che si sono attaccati con la colla al basamento del Laocoonte nei Musei vaticani. Il vicecaporale Elia Cinotti, portavoce delle Guardie svizzere, glissa sui fatti di cronaca, ma rivela un ulteriore problema: «Dopo il Covid abbiamo osservato che è aumentato il numero di persone che ci chiedono soccorso: implorano un’elemosina, un aiuto, persone che spesso hanno problemi di ordine psicologico». Per questo, spiega Cinotti, «nella formazione si approfondisce anche l’aspetto psicologico dell’aiuto del prossimo, che è anche una forma di carità cristiana».
La cultura della Svizzera, certo, paese tradizionalmente neutrale con un esercito di sola difesa, si sposa bene con il pacifismo della Santa Sede. Ma le fogge rinascimentali non devono ingannare. Se alla cerimonia di giuramento le Guardie svizzere sono vestite con la divisa di gran gala, addosso hanno quindici chili tra alabarde, armature e casco intarsiato, gli elmi sono realizzati con una stampante 3D. E i militari del Papa sono equipaggiati con pistola Glock 19 Gen 4, fucili d’assalto 90, spray al peperoncino e taser X2: gli addestramenti sono professionali. Quando tornano in Svizzera, hanno un’esperienza internazionale e una competenza non comune. Non è la paga di 1.400 euro al mese a giustificare la scelta di diventare guardia svizzera. «I ragazzi che vengono qui non lo fanno per i soldi», spiega Cinotti. Ci sono la fede e ci sono gli ideali. «È un servizio diverso da tutti quelli nel resto del mondo», dice Gabriele: «Forse è un po’ banale, ma sono cattolico nella fede e soldato nel cuore».
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