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 2024  aprile 30 Martedì calendario

La Terra nel medioevo

«Nel Medioevo si pensava che la Terra fosse piatta». Un’affermazione che non ha riscontri, anzi è del tutto astrusa, ma si sente ripetere con insistente frequenza. Ed è – scrivono Violaine Giacomotto-Charra e Sylvie Nony in La Terra piatta. Genealogia di un malinteso, edito dal Mulino – alla base di una «visione distorta del nostro passato». Questa convinzione – secondo Giacomotto-Charra e Nony – «è diventata l’illustrazione emblematica dell’arretratezza scientifica che inspiegabilmente si continua ad ascrivere al Medioevo». E «di ciò che si crede essere la cieca stupidità di un mondo antico con il quale la modernità avrebbe rotto». Convinzione diffusa non già tra i cosiddetti Terrapiattisti, bensì, all’opposto, tra i cosiddetti colti, vale a dire tra molte illustri personalità che, anche in tempi recenti, hanno pubblicamente sostenuto che fu solo con Galileo Galilei che cominciò a farsi largo tra mille difficoltà il concetto della sfericità della Terra. Personalità di cui le autrici presentano un gustoso elenco di nomi (con tanto di circostanziati riferimenti).
Giacomotto-Charra e Nony dimostrano con una documentazione impeccabile, ove mai ce ne fosse necessità, come non solo l’idea che nel Medioevo si credesse che la Terra fosse piatta è «storicamente falsa», ma «dipende da una manipolazione della storia delle scienze, e soprattutto delle coscienze» che «contribuisce a una visione miseramente lineare e teleologica dello sviluppo delle civiltà». Visione «derivante dal positivismo e dal concetto di progresso professato dal XVIII e soprattutto dal XIX secolo». Tra l’altro – come si capisce benissimo dalla lettura del fondamentale libro di Massimo Bucciantini, Michele Camerota e Franco Giudice Il telescopio di Galileo. Una storia europea (Einaudi) – non fu quello della sfericità della Terra il punto dello scontro tra il grande scienziato e la Chiesa. Galileo fu condannato dal tribunale dell’Inquisizione per aver disubbidito all’ingiunzione che gli era stata notificata sulla base della quale avrebbe dovuto rinunciare a sostenere pubblicamente la teoria astronomica di Copernico. La quale teoria niente aveva a che fare con una presunta concezione della piattezza della Terra.
In realtà la Terra fu considerata come una sfera già da Platone (428-348 a.C.) nel Timeo e nel Fedone. Poi da Aristotele (384-322 a.C.) nel De caelo. E, secondo quest’ultimo, tale concezione era già contenuta nell’opera di Anassimandro (610 circa-546 circa a.C.). La questione, però, duemila e cinquecento anni fa, era ancora dibattuta, tant’è che Anassagora, vissuto nel secolo successivo a quello di Anassimandro, riteneva, lui sì, che la Terra fosse piatta. Aristotele invece non aveva dubbi e addirittura scherniva i difensori della forma piatta della Terra come Senofane. La svolta definitiva è attribuita ad Eratostene (276-194 a.C.) il cui trattato Sulla misurazione della Terra tuttavia non ci è giunto. Ma la sua dimostrazione si può ricostruire grazie a diversi autori che, citandolo, hanno copiato o commentato le sue argomentazioni. Ad esempio, l’astronomo siriano Posidonio, Ipparco che accoglie questa teoria da Strabone, e Cleomede, autore di un trattato di cosmologia databile ai primi secoli dopo Cristo. Cleomede spiega come, in un giorno di solstizio d’estate, misurando la lunghezza dell’ombra di un bastone conficcato nel suolo verticalmente ad Alessandria, è possibile calcolare la differenza di latitudine tra questa città e Assuan, situata approssimativamente sullo stesso meridiano, dove il bastone conficcato non proietta alcuna ombra.
Le idee fondamentali di Eratostene furono trasmesse alla tarda Antichità e al Medioevo da Tolomeo e Teone di Smirne (II secolo d.C.), Macrobio (IV secolo d.C.), Marziano Capella (IV e V secolo d. C.). E nel mondo arabo di cui si ha una buona documentazione per quel che riguarda il IX secolo, anche se, ad ogni evidenza, erano diffuse da prima. Tutto ciò per citare, scrivono Giacomotto-Charra e Nony, «coloro i cui studi si sono diffusi nel mondo latino medievale e hanno costituito il corpus scientifico degli uomini colti fino al Rinascimento». Con aspetti ampiamente dibattuti all’epoca del viaggio di Cristoforo Colombo. Che però non mettevano in discussione la sfericità della Terra.
E veniamo a Colombo. La leggenda nera dei «dottori retrogradi dell’università di Salamanca» che si opponevano al futuro scopritore dell’America perché non credevano alla rotondità della Terra cozza con l’evidenza dei termini reali della loro discussione: dibattevano sulle probabilità di successo di un viaggio alla volta della Cina navigando verso Ovest. Né l’uno né gli altri avevano alcunché da apprendere sulla configurazione dell’orbe Terracqueo. La «costruzione ideologica» su una «presunta resistenza della Chiesa» incentrata sul non voler riconoscere la sfericità della Terra ha una stretta parentela con il «disprezzo per gli studi medievisti, la loro oscurità o addirittura la loro inutilità». Di cui, scrivono Giacomotto-Charra e Nony in una chiosa autobiografica, «possiamo testimoniare attraverso la nostra esperienza personale».
Diverso è il discorso che riguarda gli attuali Terrapiattisti. Nella prefazione al libro, Alessandro Vanoli cita un rapporto del Censis del 2019 secondo il quale il 6% degli italiani crede che la Terra sia piatta. E vanno ad assommarsi a un 10% i quali non ritengono risponda a verità che l’uomo sia sbarcato sulla Luna. In realtà, ribadisce Vanoli, furono i Greci antichi a porre le basi della visione della sfericità del mondo. Forse Parmenide, probabilmente Pitagora, ma di sicuro dai tempi di Platone e Aristotele, sostiene Vanoli, «cominciarono a essere utilizzate osservazioni empiriche a dimostrazione della rotondità della Terra». Nei secoli successivi poi «la cosa divenne non solo ancora più chiara, ma meglio studiata e dimostrata». Nel III secolo a.C. già si poteva «calcolare con buona precisione la lunghezza del meridiano terrestre considerando la diversa inclinazione del Sole in due punti diversi dell’Egitto» (si cita anche qui il trattato di Eratostene). Da quel momento in poi «la cosa divenne assodata». Anche nel Medioevo, «malgrado tutti quelli che oggi pensano diversamente». Senza «scomodare Alberto Magno, Tommaso d’Aquino o Ruggero Bacone», basta leggere Dante. Per rendersi conto – come ha scritto Umberto Eco nel saggio «La forza del falso» in Sulla letteratura (Bompiani) – di come «anche uno studente di prima liceo può facilmente dedurre che, se Dante entra nell’imbuto infernale ed esce dall’altra parte vedendo stelle sconosciute ai piedi della montagna del Purgatorio, questo significa che egli sapeva benissimo che la Terra era rotonda». E neanche per Cristoforo Colombo – insiste Vanoli – il problema fu di dimostrare che la Terra fosse rotonda. Voleva bensì convincere i dotti spagnoli che l’oceano fosse sufficientemente stretto e la Terra fosse sufficientemente piccola da essere aggirata passando per Occidente. Per inciso: nel merito della discussione, avevano ragione i dotti, non lui.
L’idea, invece, che dagli antichi fino al Medioevo si ritenesse che la Terra fosse piatta è nata nell’Ottocento. Fu lo scrittore americano Washington Irving che nel 1828 in La vita e i viaggi di Cristoforo Colombo mise in scena quello che Vanoli definisce «un Colombo completamente inventato, eroe della scienza empirica, ardito esploratore, razionale, uomo del progresso, in conflitto con i bigotti religiosi spagnoli ciecamente terrapiattisti». Poi nel 1864 l’inglese Samuel Birley Rowbotham diede alle stampe un libro, Astronomia Zetetica. La Terra non è un globo, in cui cercò di dimostrare che la Terra si troverebbe all’interno di un piano circoscritto delimitato esternamente da una parete di ghiaccio. Nel 1885 fu la volta di William Carpenter, che in Cento prove che la Terra non è un globo riteneva determinante che, sulla base di testimonianze riferite dagli aeronauti, alle altezze raggiunte con palloni aerostatici non era possibile vedere la curvatura terrestre. Inutile far notare, spiega Vanoli, «che all’epoca le massime quote raggiunte non erano per nulla sufficienti a percepire a occhio la curvatura della superfice». Tutto qui.
Qualche scienziato si prestò a pubblici dibattiti con questi primi terrapiattisti. In un caso, quello con il geografo Alfred Russel Wallace, la discussione degenerò in processi per frode e calunnia. Dopo la morte di Rowbotham, venne creata una apposita società per «proseguire la battaglia» contro il «mito» della sfericità della Terra. Negli Stati Uniti quest’idea fu adottata da una setta autodefinitasi Chiesa cattolica cristiana, capeggiata dal guaritore scozzese John Alexander Dowie. Setta che ebbe vita fino al 1942, allorché naufragò in seguito a una serie di scandali finanziari. Ma si era in piena Seconda guerra mondiale e la notizia, pur resa pubblica, non ebbe sui media adeguato risalto.
Tali idee si ripresentarono a metà degli anni Cinquanta, quando Samuel Shenton fondò la «Società per la Terra piatta» che, nota Vanoli, poneva maggiore enfasi su argomenti legati alla Bibbia. Momento clou per la vita di questa società fu l’eclisse solare del 21 agosto 2017, quando venne pubblicato su internet un video che aveva lo scopo di dimostrare come i dettagli del fenomeno celeste rafforzassero «l’idea che la Terra fosse un disco piatto».
Da quel momento in tutto il mondo i terrapiattisti si sono moltiplicati, ricostruisce Vanoli, e hanno accompagnato le antiche convinzioni con una discreta dose di teorie cospirazioniste. Così l’esplorazione dello spazio è stata, secondo loro, una «mistificazione» o un’«impostura» creata in particolare dalla Nasa, «insieme a Hollywood e diverse altre agenzie governative», per «proteggere il presunto muro di ghiaccio che circonda la Terra». Chi ci sarebbe all’origine del complotto? Un mix di «poteri forti» e di «più o meno oscure potenze alla guida del mondo». Smascherati da «volenterosi attivisti» che «nella vera forma della Terra hanno compreso il senso di un inganno millenario».
Ma il numero di coloro che credono esser stata la Terra concepita come piatta fino al Medioevo è molto più grande. Un esempio illustre è quello di Stefan Zweig che nella biografia di un grande navigatore – Magellano, un uomo e la sua impresa (Diarkos) – parla di «superamento definitivo», nel Cinquecento, della «cosmografia dei Greci e dei Romani». Da quando, scrive Zweig nel 1938, «una nave è salpata dal porto di Siviglia e, procedendo verso occidente, è tornata al porto di Siviglia, è stato dimostrato in modo inconfutabile che la Terra è una sfera circondata da un unico mare». Laddove sembra ignorare che la circonferenza del globo terrestre, «invano cercata per un millennio», era già stata misurata nel III secolo a. C. con un considerevole margine di approssimazione. E in un film di Ridley Scott 1492. La conquista del paradiso (1992) Cristoforo Colombo, interpretato da Gérard Depardieu, è dipinto come un eroe che affronta l’ignoranza della sua epoca. E, in una scena alquanto paradossale, lo si vede adirarsi davanti a un mappamondo ed esclamare: «Ci hanno raccontato che questo è piatto!». Allo stesso modo, in una biografia del regista francese Bernard Giraudeau (scritta da Bertrand Tessier), capita di leggere: «Ha sempre amato l’alba. Quel mattino, era come gli esploratori che, nel XV secolo, salpavano senza sapere se la Terra fosse piatta come un disco, con il rischio di cadere». Potremmo continuare per pagine e pagine.
Quanto a noi, scrivono Giacomotto-Charra e Nony, «invece di farci beffe di coloro che, pensiamo, credevano in passato, un lunghissimo passato, essere la Terra piatta, sarebbe più salutare interrogarci sulle autentiche radici del mito e di ciò che esso rivela sulle nostre società». Come ha scritto Eco, «in fondo il primo dovere dell’uomo di cultura è quello di tenersi all’erta per riscrivere ogni giorno l’enciclopedia». Accantonando, insistono Giacomotto-Charra e Nony, una concezione della natura che ci induce a ridurre gli scritti e i pensieri che precedono il XVII secolo a «sciocchezze di cui, per costruire il mondo moderno, è stato necessario sbarazzarsi». Semmai dobbiamo sbarazzarci di ciò che ci ha indotto a cadere nel colossale equivoco.