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 2024  aprile 30 Martedì calendario

Giovani, il benessere perduto


Demotivati, annoiati. Talvolta manifestano sintomi di un malessere che può sfociare in crisi d’ansia o depressione; 4 su 10 hanno aspettative negative sul futuro; 1 su 10 abbandona la scuola che dovrebbe essere, come spiega Alessia Barbagli, insegnante e pedagogista, la «società dei ragazzi». E in quella fascia di popolazione tra i 15 e i 24 anni, già ridotta a causa della denatalità, anche tra chi si diploma resta alta la percentuale (8%) di chi poi non ce la fa a inserirsi nel mondo del lavoro. Platea che rischia di ampliare la popolazione dei Neet, chi non studia né lavora.
«I giovani di oggi stanno molto peggio delle generazioni che li hanno preceduti. Devono essere loro i nuovi target delle politiche di welfare che è urgente ripensare. E la scuola è il luogo da cui partire per la tutela del benessere e della salute mentale di ragazze e ragazzi. Non, beninteso, attribuendo più compiti ai docenti ma aprendo le scuole al territorio». Lo spiega Chiara Agostini ricercatrice del Laboratorio Percorsi di secondo welfare che ha curato Welfare per le nuove generazioni. Scuola, salute mentale e promozione del benessere (Asino d’oro edizioni), con i contributi di sociologi, pedagogisti, psicologi e psichiatri. Una scuola che presidia il benessere dei giovani, è il senso del messaggio, è aperta al confronto con tutti i soggetti che di essi si occupano.
Occorre bandire molti stereotipi, per esempio che «di principio i bambini non hanno voglia di imparare. La scuola – dice ancora Barbagli – è una società particolare, non dovrebbe essere luogo dove si perde qualcosa di sé». Il disagio invece emerge già nelle secondarie di primo grado dove si registra un aumento di richieste di colloqui psicologici: il 14% degli under 18 denuncia disturbi legati alla sfera emotiva e i dati dicono poi che addirittura il 39% soffre di ansia e depressione. Ma la scuola non è un’isola. «È necessario – continua Barbagli – attivare collaborazione con Enti, municipi, così da permettere di rispondere ai bisogni sociali personali di ragazze e ragazzi, per accompagnarli verso l’autonomia sentendosi in una comunità».
Valeria De Tommaso
La condizione giovanile non è priorità politica e rischia di diventare un tema residuale
Si parte da «coinvolgimento e ascolto attivo». In un contesto non favorevole, a scuola, una situazione di disagio temporanea può cronicizzarsi. Rispetto al passato i giovani però sono più sensibili al concetto di salute mentale, hanno meno paura di chiedere aiuto e esprimere il disagio. Lo conferma la psichiatra e psicoterapeuta Letizia Del Pace: «Ansia e depressione tra i giovani sono aumentati negli ultimi 15 anni. Pandemia e lockdown hanno pesato: la socialità è requisito fondamentale per la formazione della identità personale. Ma non sono le uniche cause». La scuola «impatta su docenti e alunni, e può fare tanto andando a potenziare i rapporti umani e affettivi e vitali, che sono i principali fattori protettivi e aiutano ad affrontare i momenti difficili della vita senza perdere la speranza. Per questo da qui deve partire una cultura della salute mentale».
Valeria De Tommaso, dottoranda in Studi politici alla Statale di Milano e ricercatrice di Percorsi Secondo welfare, esamina la condizione giovanile partendo dal mercato del lavoro da cui tre under 25 su dieci sono fuori (tra questi due su tre sono Neet). I dati reali sono la «povertà e le disuguaglianze tra più giovani, in virtù di carriere di lavoro precarie e instabili ma anche di un sistema scolastico che non agevola la transizione tra il circuito scolastico e il mercato del lavoro». Emerge come la condizione giovanile non sia mai stata una priorità politica e «con la sotto-rappresentazione dei giovani rischiamo che questo diventi un tema residuale».
Anche per chi si dà da fare il futuro è incerto. Chi lavora, guadagna poco: i lavoratori poveri sono l’11,6% degli occupati rispetto all’8.9 della Ue. L’età in cui si raggiunge uno stipendio medio si sposta a 35 anni. Si assiste poi a una ridottissima mobilità sociale. I giovani più svantaggiati fanno fatica a raggiungere condizioni di lavoro stabili e economiche adeguate in breve tempo, e per questo sono più a rischio di esclusione sociale. Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children, conclude: «La scuola è un salvavita, da lì passano le cosiddette competenze tecniche ma anche la crescita emotiva, la capacità di stare con gli altri, ed è un grandissimo livellatore sociale, un laboratorio in cui raggiungere lo sviluppo e il proprio potenziale. Negli anni questo è venuto meno e ciò si ripercuote su indici di dispersione e analfabetismo funzionale, i giovani finisce che non hanno competenze rispetto al loro livello studio. Poi c’è il fenomeno più ampio della salute mentale. Va ricreato – conclude Fatarella – un dialogo che spesso si è interrotto brutalmente tra insegnanti e famiglie, rispetto al percorso dello studente».