il Fatto Quotidiano, 30 aprile 2024
Quasi più direttori che pubblico
Chi deve scegliere la programmazione del Teatro alla Scala? Il sovrintendente in carica fino all’agosto 2025, Dominique Meyer, o il sovrintendente designato in carica dal settembre 2024, Fortunato Ortombina? Il Cda del Piermarini ieri si è interrogato sull’annosa questione, e ha deliberato che potranno farlo entrambi: su proposta di Meyer, la Fondazione ha conferito immediatamente le deleghe a Ortombina (che è ancora in carica come sovrintendente de La Fenice di Venezia) per iniziare a scritturare subito gli artisti e evitare ritardi. Tutto ok, una settimana dopo che tutto sembrava ok. Ma non lo era.
C’è un problema che da qualche tempo sembra attanagliare i teatri italiani, e non sono solo lo strutturale debito, il lavoro precario o i finanziamenti pubblici più o meno adeguati: il problema è come nominare un nuovo dirigente senza che volino stracci. Ma la soluzione, con Comuni, Regioni e Ministero di colori politici sempre più diversi, è “coesistenza”, che a volte fa rima con raddoppio degli incarichi – e delle poltrone – per non scontentare nessuno (partito, ovvio; degli spettatori poco importa). La casistica è sempre meno isolata. L’ultimo caso, appunto, riguarda Milano. Il Cda avrebbe voluto rinnovare l’incarico a Meyer, ma il Mic di Gennaro Sangiuliano e il sindaco Beppe Sala avevano già trovato l’accordo su Ortombina, attuale sovrintendente a Venezia: curriculum d’indubbio rispetto, ma anche il merito d’aver intuito e promosso il talento di Alvise Casellati, direttore d’orchestra nonché figlio di Maria Elisabetta Alberti Casellati, ex presidentessa del Senato e attuale ministra. Per il governo (ma non solo), Ortombina era diventato imprescindibile e così il 16 aprile è arrivato l’ok al complesso accordo: Meyer resterà in carica fino al 1° agosto 2025, con una proroga del mandato che scade a marzo. Ortombina, che non ha esperienza in teatri di dimensioni paragonabili a quello milanese, sarà sovrintendente dal settembre 2024. Rimarrà in carica fino al 2026 il direttore musicale Riccardo Chailly, quando è previsto l’arrivo di Daniele Gatti, oggi al Maggio Fiorentino, mentre si prevede il ripristino da parte di Ortombina del ruolo di direttore generale (cancellato da Meyer, ma esistente in altri teatri). E pace fatta.
Come noto, è andata molto peggio al Teatro di Roma, in una storia che ancora non è finita. Sangiuliano e il sindaco Roberto Gualtieri avevano trovato un accordo sul nome di Onofrio Cutaia, allora commissario al Maggio. Ma i rappresentanti di Regione e Ministero nel Cda della Fondazione (in cui incredibilmente il Campidoglio è in minoranza, nonostante sia il main sponsor) hanno sconfessato il presidente dem Francesco Siciliano e i rappresentanti del Comune e votato la nomina di Luca De Fusco, gradito al centrodestra. Apriti cielo, manifestazioni, minacce da parte del Comune di scogliere la Fondazione, ma poi puntualmente si è trovato un accordo-spartitorio: un secondo direttore. Uno “generale”, esecutivo, oltre a quello “artistico” (De Luca è regista, ndr). Accordo trovato, ma Cutaia rifiuta ancora l’incarico, e così da più di un mese il nome non si trova. Tutto il teatro funziona con De Fusco direttore unico, come doveva essere: ma il secondo direttore arriverà. Dovrebbe essere Marco Giorgetti, l’altro nome in lizza per l’incarico fin dall’inizio, peraltro vicino a Fratelli d’Italia.
E poi c’è il caso Carlo Fuortes, l’ex ad Rai nominato finalmente al Maggio dopo che il governo aveva provato a sistemarlo al San Carlo di Napoli, ma il giudice del lavoro ha deliberato a favore del sovrintendente in carica, Stéphane Lissner a fine marzo, dopo settimane dalla fine dell’incarico al commissario Cutaia. Anche qui, trattative al fotofinish, con Fratelli d’Italia insorta perché il sindaco di Firenze Dario Nardella aveva comunicato pubblicamente la nomina (già concordata) senza passare per l’ultimo vaglio del ministro. Decisivo, nell’ok finale, lo sdoppio dei vicepresidenti: uno nominato dalla Regione, uno dal Ministero. E pace fatta, ancora una volta.
Con un ministero della Cultura a trazione Fratelli d’Italia e tutti i maggiori teatri guidati da Fondazioni partecipate sia dal Mic sia dai Comuni e dalle Regioni, il conflitto tra aspirazioni divergenti difficilmente rimarrà sopito, soprattutto nei casi di città guidate ora dal centrosinistra. Il precedente, finito a ricorsi e avvocati, ma passato sotto silenzio, è accaduto all’Arena di Verona: edificio di proprietà comunale, ma gestito da una fondazione in cui siedono anche Regione, Ministero e due soci privati. Risultati decisivi per mettere in minoranza il sindaco Damiano Tommasi (di centrosinistra, per la prima volta in città) e confermare la sovrintendente in carica, Cecilia Gasdia.
Nei prossimi mesi andranno rinnovati i vertici del San Carlo di Napoli, del Massimo di Palermo, del Petruzzelli di Bari, dell’Accademia di Santa Cecilia e dell’Opera di Roma, tra gli altri. Lo scacchiere delle nomine appare in pieno movimento, a partire dall’obiettivo numero uno: trovare un incarico di vertice per il direttore d’orchestra Beatrice Venezi, consigliera per la musica di Sangiuliano e militante d’area doc. Le trattative per l’incarico a Palermo sono già iniziate.