Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  aprile 30 Martedì calendario

Intervista a Paolo Genovese

Paolo Genovese, è un grande sfida fare un film sul triangolo più famoso nella storia del cinema: Magnani-Rossellini-Bergman. Lo ha scritto con Francesco Piccolo, lo avete intitolato ‘Scandalo’. Perché?
«Perché è stato il primo, vero, grande scandalo mondiale. Negli anni Cinquanta finì su tutte le testate del mondo, si crearono fazioni per l’una o l’altro. Un senatore americano in Parlamento attaccò la Bergman dicendo che era diventata l’angelo del male, che rovinava l’immagine americana nel mondo».
In che periodo sarà ambientato?

«Dal ’45 a l’50, più o meno dall’uscita di Roma città aperta a quella di Stromboli. In quei cinque anni succede di tutto».
Bergman, Magnani, Rossellini. Personalità molto diverse.
«In comune hanno la tendenza ad attribuire all’innamoramento un ruolo fondamentale nella vita. Ingrid Bergman in quel momento è la star più famosa e richiesta in America, ha appena vinto un Oscar ma è disposta a perdere tutto, e perderà tanto, per amore di un uomo ma anche della sua professione, Hollywood non le bastava più. Anna Magnani ama in modo diverso, folle e litigioso, ma è l’unica cosa che conta per lei: arriverà a dire “magari non avessi conosciuto Rossellini, non avessi fatto Roma città aperta”. Avrebbe rinunciato a quel film fondamentale per le pene d’amore. Rossellini non riesce a stare fermo, fa saltare il film con la sua donna, Magnani, per farlo con colei di cui s’è innamorato perdutamente. Più della storia del cinema, del neorealismo, è questo che mi interessa. E poi il film ha un andamento drammaturgico che neanche la fantasia più sfrenata di uno sceneggiatore oserebbe raccontare. Le coincidenze, le casualità, i copi di scena sono incredibili. A partire dal finale».
La corsa a chi avesse finito prima le riprese di ‘Stromboli’ e di ‘Vulcano’?
«Si, due film simili, due donne su un vulcano, due isole una davanti all’altra, sanno che vince chi finisce le riprese prima. Magnani riesce, il suo film esce in sala ma alla prima di Vulcano i fotografi all’improvviso fuggono via: è nato il figlio di Bergman e Rossellini, in una clinica ai Parioli. Tutti disertano la prima e si fiondano a cercare di fotografare i genitori”.
Di questa storia, proprio perché molto raccontata, esistono tante versioni diverse.
“Oltre un anno di documentazione e ricerche importanti. Raccontiamo e fondiamo i tre punti di vista, molto diversi, che rispecchiano la personalità dei protagonisti. Per la Bergman ci siamo affidati alla sua autobiografia, alle dichiarazioni, così per gli altri. Ci sono incongruenze, ma questo non è un documentario. Ad esempio, il primo incontro tra Rossellini e Bergman alcuni con collocano con dovizia di dettagli a Londra, altri sul set di Hitchcock, altri all’hotel Raphael di Parigi. Ciò che conta è quello che succede in quel primo incontro e quello coincide sempre”.
Cosa l’ha sorpresa nelle storie di queste tre persone?
La totale follia di Bergman, in contrasto con il volto estremamente posato, angelico, rassicurante, e in contrasto con l’immagine solida. Mi ha colpito la sua fragilità, l’insicurezza, l’istinto dimostrato non solo nella storia con Rossellini ma anche con quella con il fotografo di guerra Robert Capa. Cercava l’amore a ogni costo, ed è stata anche criticata, ha lasciato marito e figlia, tutto.
Della Magnani mi ha colpito, nelle interviste, la sua fragilità e umanità: le voglio proprio bene, una donna forte, che parla romano, dice le parolacce, affronta tutto a viso aperto e senza peli sulla lingua ma che in realtà è una persona tenera, che ha bisogno di affetto. Mi colpisce quando Aldo Fabrizi le dice “devi essere felice, stai avendo un successo incredibile” e lei risponde “a Fabrì, io non so’ mai stata felice in vita mia. Solo qualche istante che se li metti insieme non fanno mezza giornata. Quindi non mi parlate di felicità”. Un personaggio straziante, tifi per lei. Rossellini è, anche, un simpatico cialtrone, un bugiardo, un affabulatore. Disposto a tutto, specie per realizzare i suoi film. Roma città aperta è riuscito a farlo perché l’ultima parte di finanziamenti glieli ha dato un pecoraro dell’Agro romano».
Sapeva godersi la vita.
«Ha sperperato l’eredità dei genitori e il cinema lo ha iniziato per guadagnare, poi se ne è innamorato. Figlio di papà, auto, donne, locali, amici a cui offriva la vacanza. Ma nel periodo che noi raccontiamo pensa solo a Ingrid e al film insieme. Per sedurla, invece di andare diretto da Roma a Stromboli passa attraverso alberghi e ristoranti della Costiera Amalfitana. Ernest Hemingway gli scrive “è troppo facile portare una donna in Costiera per sedurla”. Nel film si percepisce la sua indole, ma in quel momento è concentrato su Bergman e i problemi della fine della relazione con Magnani. È un uomo diviso tra due donne».
Avete coinvolto Isabella Rossellini, qualche familiare?
«Aspettiamo di avere la versione definitiva della sceneggiatura. Siamo rimasti fedeli ai fatti, ci sono già fin troppi colpi di scena: la lettera che Bergman scrive a Rossellini arriva alla Minerva che va a fuoco, si perde per un anno. La ritrova la segretaria, lui non la vuole leggere, è in causa con Minerva. Lei quasi lo costringe. C’è una parte di destino in questa storia, un destino ineluttabile e affascinante».
Che cosa racconta al pubblico di oggi questa storia?
«È attuale perché le dinamiche amorose del triangolo d’amore, del tradimento, e della follia sono senza tempo. Racconta lo scandalo, il gossip: stampa e di conseguenza il pubblico che subito si fanno giudici di tutto ciò che succede. Uno scandalo mondiale. Non c’era bar, riunione o cena o momento sociale in cui non se ne parlava. Nulla di nuovo, se pensi agli scandali sentimentali recenti, da Ferragni e Fedez a Totti e Ilary, che diventano immediato patrimonio di tutti, tema dominante su cui esprimersi. Allora venivano mandati reporter, fotografi, perché non bastava il fatto, volevano il dettaglio. Oggi i media sono i social, ma la dinamica umana resta la stessa e soprattutto gli effetti distruttivi sulle persone. Il film inizia con le dichiarazioni dei tre sui media, validi anche oggi. Magnani dice “io sullo schermo faccio ridere e piangere, ma non permetterò a nessuno di ridere o piangere con la mia vita privata».
È attuale anche il rapporto tra Rossellini autore e l’industria americana.
“Stromboli è un prodotto americano, con le major, le dinamiche, le riunioni per avere i finanziamenti. Mi sembrava di rileggere le stesse dinamiche che noi autori abbiamo con le piattaforme. Rossellini con le sue idee, il suo modo di girare tutto pancia, istinto che cerca di portare i suoi progetti alla grande industria, tutta regole, razionalità, analisi di mercato. Non si trovano, non riescono, parlano due lingue del tutto diverse”.
Perché un film e non una serie?
«Amo il cinema più di ogni altra cosa. Questo non è il classico biopic, ha un inizio, colpi di scena e un finale che è bello godersi in sala tutto d’un fiato. Un film racconta l’essenza, senza perdersi in dettagli. Purtroppo alcune serie, oggi, invece di capire quanto tempo richiede una storia per essere raccontata, la spalmano in base alle puntate. E invece ogni storia ha il suo tempo di racconto naturale».

In che lingua girerete?
«Sarà una produzione internazionale, le capofila sono Leone Film Group ed Euro Gang. Si aggiungeranno un importante produttore italiano e un americano. Vorrei rispettare il fatto che è una storia radicata nella nostra cultura, che vorrei rispettare. Rossellini e la Magnani saranno due attori romani, la Bergman sarà una svedese, il gruppo americano sarà americano. Gli italiani parleranno in italiano, gli americani in inglese, Bergman e Rossellini in inglese e un poco in italiano, lei col marito in svedese. Sfioreremo anche personaggi meravigliosi in ruoli importanti, a partire da un Federico Fellini inedito, quando era aiuto regista di Rossellini».
Perché nessuno ha pensato prima di fare questo film?
«Non lo so. Quando ho fatto Perfetti sconosciuti mi sono detto: possibile che nessuno abbia fa un film sui cellulari che stanno stravolgendo la nostra vita? È una storia, questa, che tutti conoscono a grandi linee, ma se non entri nei dettagli umani non ne percepisci la potenza, la portata esplosiva. E io ho avuto la fortuna di entrarci dentro».