Linkiesta, 27 aprile 2024
Giannini ha aperto una chat per combattere il fascismo
La chat appena cominciata è già finita. O forse no. Qual è il punto di collegamento tra Massimo Giannini – già molte cose, ora ospite televisivo, editorialista di Repubblica e, come tutti, tenutario di podcast – e Aaron Sorkin – drammaturgo, regista, sceneggiatore tra le altre cose del più bel film di questo secolo, “The Social Network”?
Il 25 aprile, la sera del quale, a Washington, Sorkin ha annunciato, durante la registrazione d’un podcast (ettepareva), che sta lavorando a un film sul 6 gennaio 2021, ferita alla democrazia che secondo lui è appunto colpa del protagonista di “The Social Network”, Mark Zuckerberg.
Intanto in Italia, dove la giornata era festiva, Giannini apriva un gruppo WhatsApp e lo chiamava 25 aprile. Avevo pronta la battuta «o è 25 aprile tutti i giorni o non è 25 aprile mai», ma me l’ha bruciata proprio Giannini – poi vedremo come, ora restiamo alla giornata del 25.
Giannini apre il gruppo e aggiunge, direi, tutta la rubrica. Ve lo faccio spiegare da lui, che la sera lo spiega a “Otto e mezzo”: voleva «mandare gli auguri ad una serie di persone che conosco, di tutti i generi». E a quel punto ha pensato di creare un gruppo Whatsapp, «vediamo l’effetto che fa» (non sarò certo io a dire che lo smottamento che avete sentito è Jannacci che si rivolta nella tomba).
Dice che «hanno aderito migliaia di persone» (in quel momento sono ottocento e qualcosa, mentre scrivo – 26 pomeriggio – sono poco più di mille). L’uso del verbo «aderire» a me pare improprio, se t’aggiungono a un gruppo: c’è Nina Zilli che di certo sa abbandonare la chat in tutta fretta se vuole, ma anche Gustavo Zagrebelsky che magari non è altrettanto rapido con la tecnologia – ma sono minuzie.
Giannini dunque spiega a Gruber che hanno aderito «persone comuni, le persone che incontri per strada, mie amiche, con le quali vado a giocare a tennis piuttosto che prendo il caffè», e a quel punto, dopo una giornata a ricevere screenshot e cronache del gruppo, inizio a chiedermi quanto devo essere screditata per essere l’unica non aggiunta alla chat. Sarà perché non ho mai giocato a tennis con Micòl Finzi Giannini?
«C’è un discredito dell’intellettuale da parte di questa destra estrema e populista», come ha detto ieri Antonio Scurati a Repubblica? Non può essere questo, per essere giusta l’equazione io dovrei essere intellettuale (improbabile) e Giannini destro e populista (sia mai).
Nel corso del 25 aprile, festa della Liberazione e degli screenshot, io e quelli che sono dentro («Ma quante spie fasciste ci saranno in questo gruppo?», si chiederà il giorno dopo, 26 aprile ma chat ancora attiva, Pif) ci faremo molte domande sull’opportunità di creare un gruppo WhatsApp, aggiungere l’intera classe dirigente, e permettere a chiunque d’invitare chiunque.
Saranno contenti Urbano Cairo e Carlo De Benedetti, Romano Prodi e Roberto Saviano, Renzo Piano e Corrado Guzzanti, che chiunque abbia mai preso un caffè con Giannini adesso abbia il loro numero. (Un amico, che ovviamente è tra i partecipanti alla chat che come abbiamo già stabilito sono tutti tranne me, ieri gongolava: ora posso chiedere un prestito a Tizio e un lavoro a Caio, ho il loro numero).
A cosa serve la chat 25 aprile? Che domande: a organizzare la resistenza, visto che come sapete c’è il fascismo. «Con calma potresti organizzarci in gruppi tematici di lavoro e contemporaneamente “vedette” sempre in allerta democratica?», chiede a Giannini, a un certo punto del pomeriggio, Monica Guerritore, e a me viene in mente quell’intellettuale con cui parlai quattrocentosettanta emergenze democratiche fa.
Non ne faccio il nome ma insomma è uno dei quattro intellettuali italiani che non firmano appelli, non strillano allarmi che si rivelano poi sempre puttanate, e se lo aggiungono a una chat del genere probabilmente dopo trenta secondi compare l’avviso «ha abbandonato la chat» (che però pare ora non compaia sempre; ieri, oltre ai messaggi dentro a 25 aprile, c’erano giri di messaggi paralleli di gente che diceva di essere riuscita a uscire di nascosto: i nuovi carbonari).
Quattrocentosettanta emergenze fa, quell’intellettuale rifletteva a voce alta su non so quale iniziativa assimilabile alla chat 25 aprile, e si chiedeva, e non aveva risposta, e io neppure: ma come fanno a non accorgersi che sono ridicoli? Forse il senso del ridicolo è come l’orecchio assoluto: se non ce l’hai, neppure intuisci cosa sia.
Il 26 mattina qualcuno butta lì «un’idea: Giannini federatore di un nuovo centro sinistra!» (mi torna in mente un interminabile dibattito di ottocentoventi emergenze democratiche fa: quando si discuteva se «centro sinistra» andasse scritto attaccato, staccato, col trattino. Certo che, se ci fossimo impegnati sulle cose serie quanto sulle puttanate, magari la Meloni non governerebbe per i prossimi trecento anni).
«Più tra le persone, meno nei salotti», invoca Stefano Bonaccini; «Condivido in toto, è questa la strada», approva Oscar Farinetti, e per un attimo immenso io penso a cosa succederebbe se questa chat fosse pubblica – ancora più pubblica di quanto sia una chat con centinaia di persone e le cui impostazioni sono che chiunque possa aggiungere chiunque. Penso ai commenti sul costo della robiola da Eataly e-noi-non-arriviamo-a-fine-mese che toccherebbero a Bonaccini e Farinetti se si affacciassero fuori da WhatsApp, e vorrei tanto sconsigliare loro di farlo. «Io prendo il caffè con la gente normale» è una cosa che puoi dire a “Otto e mezzo” o in una chat con De Benedetti; mica là fuori nel mondo.
De Benedetti che approva molto («Giusto Massimo! Cdb») quando, dopo un sublime scazzo tra Alessandro Dalai e Roberto Burioni sull’attualissimo tema «meriti di Stalin» (non ce la possiamo fare a uscire dal Novecento, e forse neppure vogliamo), Giannini invoca continenza: «Amiche ed amici, non so cosa sarà di questo bel gruppo, ma per favore, evitiamo di trasformarlo in un altro sfogatoio di mutui rancori: per questo ci sono già i social!».
Ha ragione Sorkin, la colpa è di Zuckerberg. Non solo perché, dice Sorkin, alimenta gli estremismi per guadagnare centoventi miliardi di dollari invece che 119. Soprattutto, perché iniziò lui a convincere le menti deboli che i cinquemila «amici» che avevano su Facebook fossero davvero amici, gente che puoi chiamare se buchi una gomma alle tre di notte.
Fu lì che l’umanità perse la ragione e iniziò a pensare d’avere cinquemila intimi amici cui poter raccontare i cazzi propri. Sedici anni dopo eccoci qui, con Giannini e De Benedetti convinti che in un gruppo che intanto è arrivato a un migliaio di persone si possa conversare come a Bloomsbury (De Benedetti cambierà idea non appena qualche tennista gli chiede un prestito, mi sa).
Nel pomeriggio del 26, Giannini scrive «per non disperdere questo magnifico “deposito” di civismo e cultura repubblicana, ma anche per non trasformarlo nello sfogatoio social e/o nello stillicidio continuo di messaggi su X, starei pensando di aprire un gruppo chiuso su Facebook (con un nome preciso, tipo “25 aprile ogni giorno”, marchio da registrare subito)».
C’è tutto, dalla mitomania di pensare che qualcuno ti arrubbi il 25 aprile ogni giorno all’idea che ci sia civismo e cultura repubblicana in un posto in cui gli intellettuali di sinistra (e gli altri) fanno quel che si fa per passare le giornate in questo secolo: darsi pacche sulle spalle. Il gruppo WhatsApp 25 aprile era sintetizzato, ancora prima di esistere, nello slogan ideato proprio per il 25 aprile da una vignetta di Andrea Bozzo: «Viva noi, abbasso voi».
In questo deposito di civismo e cultura mitomane, un ex direttore di Repubblica promuove il sito della ex fidanzata; il capo della cultura di Repubblica scrive «o bella chat bella chat bella chat chat chat» (un senso dell’umore che da solo motiva il crollo delle copie); Sergio Rizzo propone di mettere cento euro a testa e fare un giornale on line chiamandolo 25 aprile; qualcuno chiede a De Benedetti di ricomprare Repubblica e mettere Giannini a dirigerla (lì De Benedetti inizia a capire che deve cambiare numero); un magistrato (unico che riesce a trovare una scusa presentabile per salvarsi dalle notifiche) dice che «il mio ruolo di magistrato in servizio rende opportuno che io abbandoni la chat»; Paolo Repetti consiglia tre libri a caso, accidentalmente Einaudi, che salveranno la democrazia; Gregorio Paolini annuncia che la sera, a “Splendida cornice”, ci sarà Serena Bortone.
Bortone che poteva mai non essere nella chat? Credo però (ho informazioni di seconda mano, non so se vi ho già detto che sono l’unica figlia della serva non aggiunta alla chat) che l’abbiano aggiunta dopo, e si sia persa lo scrittore che appena entrato ha scritto che le sue, di censure, non se le è filate nessuno.
Bortone arriva e subito posta la copertina di Vanity, con messaggio «Fieramente e pubblicamente antifascista, a qualsiasi prezzo». Al prezzo di andare al Nove a un milione e mezzo l’anno, al prezzo di stare in copertina, è incredibile quali costi abbia l’antifascismo e che coraggio ci voglia a sobbarcarseli.
«Appuntamento a tutti il Primo Maggio», aveva scritto Ezio Mauro (maiuscole sue), e io mi stavo ancora chiedendo se fosse una minaccia, un sequel, un’altra chat, il teaser di “Die Hard 2”, un appuntamento al concertone, o la sintesi della convinzione che con le chat salveremo il mondo, la sinistra, la democrazia – quando Giannini ha annunciato che il 25 aprile è per sempre, tra le proteste di chi «ma io Facebook non ce l’ho, non lo so usare, come si installa?» (l’intellettuale, tale e quale alla massaia, se su un social gli dicono che qualcosa sta su un altro social va in confusione).
Li capisco, si sono affezionati alla chat appena cominciata; io pure, sebbene figlia della serva: la modalità di fruizione «brandelli selezionati da altri» non salverà la democrazia ma è vieppiù sollazzevole.
Tra i miei brandelli preferiti, «Spero che oggi nasca un nuovo soggetto politico e culturale… Il Movimento 25 Aprile! Non disperdiamo i nostri talenti… un abbraccio a tutti voi! Antonello Venditti». E la chiamano Liberazione, questa giornata senza morti.