Corriere della Sera, 29 aprile 2024
Quelli che scommettono miliardi per inseguire il sogno di una vincita che non arriva mai
Brescia «Ecco qui 362 mila euro di gratta e vinci perdenti. E qui ci sono i tagliandi comprati prima del 2002, novanta milioni di lire, ovvero altri 45 mila euro. Li prenda lei, sparga questi nelle piazze. Che gli altri giocatori sappiano come si riduce chi insegue il sogno di una vincita che non arriva mai. Si fermino in tempo, si facciano aiutare». Con queste parole Mario (nome di fantasia) ha consegnato al regista teatrale Pietro Arrigoni scatoloni colmi di quei biglietti conservati in modo ossessivo, suddivisi in mazzette dal controvalore (in perdita) di mille euro. In nove scatoloni, il fallimento di una vita. «Perché li ho conservati? Per ricordare a me stesso quanti soldi ho buttato via negli anni. Vedere i miei stipendi, i miei risparmi, trasformati in carta straccia pensavo potesse servirmi a smettere. È stato inutile. Ma finalmente mi sto facendo curare» ha aggiunto il settantenne residente in un comune vicino a Brescia. Quei tagliandi sono però serviti ad Arrigoni, a Sara Rossi della coop Gli Acrobati e ad altre cooperative sociali, per dare un grande impatto al flash mob che portano in tour sul territorio nell’ambito di un progetto di sensibilizzazione contro la ludopatia finanziato da Ats Brescia. L’ultimo appuntamento è andato in scena in largo Formentone, a Brescia, sabato mattina, con i gratta e vinci perdenti di Mario sparsi per terra, visibili da tutti i passanti. Con i gessi, sull’asfalto, c’erano anche i numeri dell’azzardo: 2 miliardi bruciati nel gioco ogni anno solo nel Bresciano, 111 miliardi in tutta Italia, tanto quanto mezzo Pnrr.
«La vita vale la pena di essere vissuta, non “grattata”» aveva detto Mario al regista Arrigoni consegnandogli quegli scatoloni colmi di rimorsi, a marzo del 2022 al mercato di Rezzato. Il regista portava già in piazza le storie taciute e disperate di tanti ludopatici. «Si è avvicinato chiedendoci se avessimo bisogno di gratta e vinci per il nostro flash mob, visto che i nostri tagliandi erano un po’ pochini. Inizialmente non ha avuto il coraggio di dirmi la verità. Ha raccontato di aver trovato casualmente quelle migliaia di schedine tra i rifiuti del vicino» ricorda Arrigoni, che ha promesso a quell’uomo di non svelare la sua identità. «Gli ho telefonato poco fa, chiedendogli se volesse raccontare la sua storia al Corriere. Potrebbe spronare altri ludopatici a chiedere aiuto. Mi ha risposto che deve tutelare i figli, la sua famiglia».
Mario era un benestante, con un buon lavoro e una bella casa. «Anche quando lo incontrammo per la prima volta al mercato era ben vestito, con un fare distinto, a conferma che la ludopatia non è classista» aggiunge Debora Zucca, assistente sociale del Mago di Oz, realtà coinvolta nel progetto. E precisa Gianni Lazzari, presidente della stessa cooperativa: «Tanti giocatori patologici pensano di poter guarire da soli. Un’illusione pericolosa. Purtroppo, in pochissimi decidono di farsi curare: vengono da noi quando i famigliari scoprono i conti in banca in rosso, gli stipendi pignorati. Il Covid non ha certo aiutato: dal 2020 in poi i pazienti si sono dimezzati».