Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  aprile 29 Lunedì calendario

La dieta da processo tormenta Trump: niente lattine, solo acqua

Com’è la vita dell’imputato Trump? «Triste», ha detto al Wall Street Journal l’amico John Catsimatidis, proprietario di supermercati a New York. «Per lui non c’è niente di peggio che dover stare seduto e tranquillo». Senza le sue dodici lattine quotidiane di Diet Coke, senza lo smartphone sempre a portata di mano, senza la fidata Natalie Harp che di solito lo aggiorna con articoli e post grazie alla stampante portatile che ha sempre con sé. Harp in questi giorni è seduta un paio di file dietro al boss, così vicina e così irraggiungibile. 
Un’altra settimana al processo, si parte alle 9 e 30 del mattino, al quindicesimo piano del Manhattan Criminal Courthouse, aula 1530, poca luce che filtra dalle tende delle quattro finestre. Certo ci sono imputati a cui va peggio: sveglia alle 4 nel penitenziario di Rikers Island, un panino al formaggio e un cartone di latte per pranzo. Ma il miliardario Donald non è abituato a queste routine. Anche quando stava alla Casa Bianca si palesava in ufficio dopo le 11. Certo, ha già frequentato aule di giustizia: l’anno scorso per la causa civile persa contro la scrittrice E. Jean Carroll giganteggiava nella sede della Corte Suprema dello Stato di New York, entrava e usciva quando voleva. Questa volta è diverso, questa volta è costretto a stare seduto e ad ascoltare. Dipende dalle parole del giudice Juan Merchan: se si alza prima del tempo, Merchan lo bacchetta e lui torna al suo posto. Non è Trump a dare ordini. «Qui si gela», si era lamentato all’apertura del processo. Ma quando l’avvocato Todd Blanc ha chiesto se non si poteva alzare il riscaldamento, il giudice ha replicato: «Se lo facessimo, temo che la temperatura schizzerebbe a 30 gradi».

Il processo per The Donald è già una punizione, ha scritto il New York Times. E lo aspettano altre cinque settimane di «tortura». Al di là dei 34 capi di imputazione che potrebbero costargli una condanna a quattro anni, c’è il disagio di un uomo che non è mai stato così tanto tempo di seguito con estranei: i testimoni che lo accusano, i giurati che lo scrutano, i giornalisti che sul grande schermo nell’altra stanza controllano se sbuffa o gli viene l’abbiocco. 
Non può neppure ricorrere alle barrette di cioccolato o alle amate lattine. Durante le udienze soltanto acqua. In bagno va quando il giudice annuncia la pausa. Venerdì i reporter all’entrata gli hanno chiesto cosa avrebbe fatto per Melania che compiva 54 anni. «Oggi sarebbe bello stare con lei – ha risposto Trump – Ma per un processo truccato sono costretto in quest’aula». A silenzio e acqua.