Corriere della Sera, 29 aprile 2024
Campus e Gaza, perché non sarà un altro ’68
Classe 2024 o Generazione Gaza? La protesta dei campus universitari americani si allarga. Era cominciata negli atenei di élite frequentati soprattutto da privilegiati: Columbia, Harvard, Yale.
Poi la bandiera palestinese è stata issata all’ingresso del New York City College, frequentato dai figli di operai e immigrati. Alle occupazioni di università sulle due coste, negli Stati Usa che votano democratico, si sono aggiunti atenei del Sud repubblicano. L’America fa il tifo per i giovani o è spaventata dalla loro violenza (verbale e non solo), si appassiona, si schiera e si divide sulla nuova emergenza. Una parte di questa generazione vive il suo battesimo politico, in un movimento che è anche un rito iniziatico, l’ingresso nella vita adulta. Vuole dare una spallata decisiva alla politica dei genitori. Quale segno riuscirà a imprimere, è presto per dirlo.
Le prime preoccupazioni riguardano il diritto allo studio. Questa generazione aveva subito un crollo di apprendimento nella pandemia, ora alcune università tornano alle classi in remoto. Le autorità accademiche sono processate da tutte le parti, sia che chiamino la polizia sia che non lo facciano: accusate di abbandonare il campo a minoranze violente e antisemite, o al contrario di soffocare la libertà di espressione dei giovani che manifestano. Sicurezza, ordine pubblico, portano i politici a intervenire ad ogni livello, con inedite convergenze: a New York hanno criticato le proteste studentesche sia il sindaco (black e democratico) sia il presidente della Camera (repubblicano trumpiano). Sul rispetto della legalità possono giocarsi le elezioni di novembre. Il 1968 americano, con le violenze razziali e il caos di proteste contro la guerra del Vietnam che assediarono la convention democratica di Chicago, spianò la strada all’elezione del repubblicano Richard Nixon. Così come a Parigi i moti studenteschi avevano finito per rafforzare il generale De Gaulle.
La Generazione Gaza va ascoltata quando solleva questioni importanti, e lo fa spesso. Esige che l’America si comporti secondo i valori della sua Costituzione. Condanna la fornitura di armi a Israele, utilizzate per bombardare i civili nella Striscia. Promuove il boicottaggio degli investimenti in Israele per colpire gli insediamenti illegali di coloni in Cisgiordania, sull’esempio delle campagne contro il Sudafrica al tempo dell’apartheid. Ragazze e ragazzi riscoprono (senza saperlo) una tradizione antica e nobile, soprattutto nel partito democratico. Una politica estera “etica” ispirò il presidente Wilson nel creare la Società delle Nazioni, il presidente Rooseevelt nel fondare l’Onu. I giovani dei campus inchiodano Joe Biden alla sua contraddizione: è in disaccordo su tutto ciò che fa Benjamin Netanyahu eppure continua nei fatti a fornirgli un sostegno incondizionato.
L’intransigenza morale di questi giovani purtroppo è a sua volta macchiata da incoerenze. Le loro associazioni studentesche il 7 ottobre 2023 applaudirono la mattanza di civili israeliani da parte di Hamas, esaltarono quella violenza, inclusi gli stupri di donne e i rapimenti di bambini, come una santa vendetta. Gli stessi ragazzi che oggi invocano il Primo Emendamento sulla libertà di espressione, e si atteggiano a vittime dell’intolleranza se una rettrice di facoltà chiama la polizia, negli anni passati imponevano la censura del dissenso, la cancellazione di conferenze sgradite, la messa al bando di professori non allineati, in un crescendo di dogmatismo e di conformismo.
La Generazione Gaza ha una visione del mondo manichea fatta di certezze ideologiche incrollabili. I ricchi (individui o nazioni) hanno sempre torto, i poveri sempre ragione. Chi è ricco deve avere per forza oppresso e sfruttato un povero. L’umanità si divide tra un Occidente imperialista e tutti gli altri: vittime, bisognosi di risarcimenti. Il progresso, impostura occidentale, è solo malvagio e distruttivo. Queste ideuzze vengono impartite da decenni dai cattivi maestri della Generazione Gaza. Sul conflitto mediorientale, la sua infinità complessità, le responsabilità diffuse da una parte e dall’altra, il ruolo di potenti registi come l’Iran, sanno poco o nulla né sono interessati a scavare in profondità.
È possibile che l’America stia per scivolare in un altro periodo di instabilità e perfino violenza, come negli anni Sessanta? Sembra mancare una condizione perché i falò si trasformino in un grande incendio. L’economia è in buona salute, anche se la crescita rallenta e l’inflazione non scende abbastanza. La Generazione Gaza ha di fronte a sé il miglior mercato del lavoro del mondo, per opportunità e livelli salariali, e uno dei migliori nella storia americana. Una parte di questa salute è fittizia perché finanziata con i debiti, però il dinamismo innovativo dell’America continua a darle una marcia in più. La Generazione Gaza ha un altro punto in comune con i Sessantottini (ormai suoi nonni o perfino bisnonni): è in sintonia con il resto del mondo. Da anni il Grande Sud globale era critico verso l’America, questa divergenza è stata rafforzata dalla guerra in Medio Oriente. L’Africa e il Sudamerica sono più anti-occidentali che mai.
Negli anni Sessanta la guerra del Vietnam accelerò l’allineamento di tante giovani generazioni in favore di regimi antiamericani: la Cina di Mao, Cuba, perfino l’Unione Sovietica. Poi furono quei regimi a crollare, o a intraprendere drastiche revisioni. Ma intanto la febbre degli anni Sessanta era stata lunga, e aveva lasciato dietro di sé anche una tragica scia di vittime.