il Giornale, 27 aprile 2024
Un viaggio incredibile nell’inferno post-atomico
Ancora una serie post-apocalittica? No, perché del post-apocalittico non se ne può più, ormai quando sento post-apocalittico sbadiglio prima ancora di sapere cos’è. Ma in questo caso è diverso, molto diverso, perché sto parlando della serie Fallout, uscita su Prime Video. Chi ha giocato al famoso videogame di Bethesda non può non vederla, m funziona in ogni caso anche per chi del gioco non sa niente.
Certo, se come me avete passato giornate a vagare tra spazi contaminati dalle radiazioni popolati di mostruosi animali, a cercare materiale per il vostro avamposto da popolare di coloni, coglierete dettagli che saranno madeleine proustiane da emozionarvi a ogni inquadratura: anche perché è vero che siamo nel futuro, nel 2296, ma siamo anche negli anni Cinquanta, anno in cui scoppiò una guerra termonucleare che non annienterà ma trasformerà per sempre l’umanità (le bombe colpiscono e radono al suolo gli USA, ma spero sia successo anche all’Unione Sovietica). Molti resteranno chiusi per decenni in rifugi antiatomici chiamati Vault, altri vivranno in superficie, che si riempirà di uomini mutanti poco raccomandabili.
Se non avete giocato ai vari Fallout, dicevo, non c’è niente del videogioco che dovete conoscere per vedere la serie, che sviluppa una trama autonoma con personaggi nuovi, e anche di quelli che compariranno, iconici nel gioco, come il robot Mister Handy, non proverete l’emozione di vederli ma non vi cambierà la fruizione. Così come il leggendario Pip-Boy, bracciale multiuso con schermo da indossare sul braccio, o gli Steam-pack, se li riconoscete bene, proverete un brivido, se non li riconoscete andate avanti lo stesso: gli sviluppatori della serie, Jonathan Nolan e Lisa Joy hanno lavorato bene per non tagliare fuori nessuno.
Tutto quindi molto retrofuturista, molto atompunk, talvolta splatter, le atmosfere di Bethesda sono ricreate alla perfezione, ma qui seguirete un’abitante del Vault 33, Lucy (interpretata da Ella Purnell) che si avventurerà in superficie alla ricerca del padre rapito, incappando presto un Ghoul, un Walton Goggins centenario e molto cowboy (prima dell’apocalisse era un attore di western), con la faccia sfigurata e senza naso come tutti i Ghoul, il quale sopravvive come altri nel mondo radioattivo dagli anni Cinquanta grazie a dei farmaci molto rari. Una lotta per la sopravvivenza darwiniana, dove chiunque è pronto a uccidere per recuperare qualcosa in grado di fargli avere più potere.
Cinismo, dark humor, ideali da confrontare con la brutalità di un ecosistema di mutanti, commedia e tragedia mescolate in un cocktail radioattivo, canzoni anni Cinquanta che aprono sequenze su questo mondo in sfacelo ma mostruosamente vivo, e le immancabili armature, qua e là un po’ di politica, residui di maccartismo (giustificato, vista la catastrofe nucleare).
È più o meno il secondo caso di successo dopo la realizzazione della serie di The last of us, anche questa tratta da un videogioco, con la differenza che per Fallout si aprono possibilità di seguiti innumerevoli. Una domanda che non ha senso quando si guarda un film tratto da un libro: è meglio il libro o il film? Tuttavia in una serie tratta da un videogioco come Fallout ci sta, perché molti giochi ormai hanno sceneggiature superiori alle serie televisive. Senza contare che Fallout era un open world, il giocatore esplorava, sceglieva quale missione compiere, e anche a seconda dei dialoghi che aveva con i vari personaggi la vicenda poteva prendere mille altre pieghe.
Un’ultima considerazione, molto generazionale: i nerd sono approdati a Hollywood e stanno dando il meglio di se stessi, per la gioia dei cinquantenni, prima generazione cresciuta con i videogiochi negli anni ’80 e che non li ha mai abbandonati (chi lo ha fatto non sa cosa si è perso). In une delle serie più belle degli ultimi tempi, The Big Bang Theory, i videogiochi sono citati come classici culturali, Sheldon cita perfino Zork, una delle prime avventure solo testuali, così come chi ha visto Ready Player One di Steven Spielberg senza aver mai avuto una consolle si sarà perso nove riferimenti su dieci.
Il limite massimo anagrafico, da quanto ho potuto sperimentare, sono gli over sessanta, come il mio amico Fulvio Abbate, troppo intrisi di politica e Sessantotto, che vede una DeLorean (usata da Matteo Renzi ai tempi della Leopolda) e la scambia per un dragster americano. Parafrasando Nanni Moretti (che parlava della torta Sacher): non sai cosa è una DeLorean? Continuiamo così, facciamoci del male. Idem per Fallout, signore mie.