il Fatto Quotidiano, 28 aprile 2024
Intervista a Michele Placido
Talmente Romanzo da coinvolgere e cambiare la vita di alcuni attori oltre il film stesso; talmente popolare da aver segnato il sesto incasso della stagione 1974-1975 con Fantozzi primo della classe e L’esorcista primo negli incubi mondiali.
Dietro la macchina da presa il maestro Mario Monicelli, davanti la macchina da presa Ugo Tognazzi, Ornella Muti e Michele Placido (“ero all’esordio come co-protagonista”).
50 anni, quindi. Con dialoghi in milanese stile Jannacci, scene di sesso e schiaffi, corna, accuse, pentimenti, la liturgia della fabbrica, il foulard di Vincenzina, le fughe e i ritorni, i ruoli sociali che si intrecciano e a volte confondono “sembra un’epoca lontanissima”.
Michele Placido, oggi sarebbe possibile girarlo?
Cambiamo leggermente prospettiva: quelle pellicole non si girano più.
Non c’è Monicelli.
E insieme a lui un grande gruppo di sceneggiatori come Suso Cecchi D’amico, Age e Scarpelli; con loro anche i film apparentemente meno impegnati erano dentro la vita, sapevano raccontare i personaggi, anche con le loro contraddizioni, senza aver paura di mettere in luce gli aspetti drammatici.
A quale film pensa in particolare?
A I soliti ignoti, una commedia straordinaria con dentro la morte di uno dei protagonisti (Memmo Carotenuto, travolto da un tram).
E Romanzo popolare?
È lo specchio della Milano di quell’epoca, con il confronto tra meridionali immigrati e milanesi, senza una lotta di classe ideologizzata ma solo una fotografia straordinaria dei comportamenti del poliziotto o dell’operaio. E come sfondo la città pronta al boom economico; quel tipo di commedia non esiste più, oggi assistiamo solo a delle commediole.
Non c’è proprio niente?
Qualcosa con Riccardo Milani che guarda caso è stato aiuto regista di Mario.
Con Monicelli c’era più cinismo…
Era parte di Mario; negli ultimi anni frequentava poche persone, io uno dei pochi: quando ci vedevamo accusava una certa decadenza psicologica, ma allo stesso tempo manteneva la forza di partecipare ai cortei; (cambia tono) il suo film che amo maggiormente è I compagni: grazie al cinismo riusciva a cogliere le fragilità e le contraddizioni dell’uomo.
Primi giorni di set per Romanzo popolare.
La cifra fu il provino: avevo davanti i migliori attori della mia generazione, quelli indicati come future certezze.
Invece?
Mi presento e Mario immediatamente mi ferma: “Non voglio un provino sulla parte, piuttosto raccontami la tua storia: è vero che sei stato poliziotto?”. “Eh…”
Solo “eh…”?
All’inizio sì, perché credevo fosse un modo per mettermi in difficoltà; poi ho iniziato a parlare di qualche esperienza.
Quale?
Degli scontri a Valle Giulia, di quando è suonata la trombetta che significava “carica!”…
Lei giovanissimo.
Lo ripeto sempre ai miei figli: “Quando sono arrivato a Roma, a 18 anni, dopo soli sei mesi di esercitazione lo Stato mi ha consegnato un manganello e una pistola”.
Come li viveva?
Mi sentivo in una condizione psicologica di grande difficoltà.
A Valle Giulia…
Durante la carica iniziai a correre dietro alcuni giovani, poi una ragazza mi colpì e deviai verso di lei; (pausa) prima della carica ci siamo beccati tutto, dalle monetine agli sputi.
E la ragazza?
Entra in un bar, io appresso. E dentro trovo alcuni operai al bancone per un caffè: “Aoh, che voi fa co’ ‘sto manganello? Voi mena’ a ‘sta ragazza?”
Eh, che voleva fa’?
Ho un po’ balbettato: “Chi, io? No, ho solo ricevuto ordini”. “Ma che ordini! Vedi d’annattene, esci…”
È uscito?
Per forza, ma poco dopo la ragazza mi ha seguito. “Sei matto…”; alla fine mi ha dato il suo numero di telefono e ci siamo visti.
È nata una storia.
Qualcosina, ma si è fermata per una questione di classe sociale: come sosteneva Pasolini, allora i poliziotti non andavano di moda, la divisa puzzava di minestrone; finito questo racconto Mario mi manda via: “Va bene”, e mentre esco lo vedo parlottare con il suo aiuto.
Era andata…
Poi mi dissero: “Monicelli è entusiasta del tuo provino naturale: hai il ruolo”.
Sul set le dava indicazioni?
Primo giorno e trovo Ugo Tognazzi: mi sentivo un po’ a disagio…
Un colonnello.
Dopo il primo ciak chiedo a Mario: “Scusi Monicelli, posso ripetere la scena? Perché penso…”. “Alt! Prima regola: non devi pensare”.
Così, diretto.
Poi è stato carino e mi ha spiegato la reazione: “Quando scelgo gli attori, oltre alla bravura e alla tecnica, cerco l’umanità. Tu sei giusto, quindi esegui le battute come te stesso, esattamente come nel provino”.
E lei?
Inizialmente offeso, poi ho capito; in quel film hanno partecipato professionisti incredibili, e penso pure a Jannacci che ha firmato le musiche.
Vincenzina e la fabbrica.
(La sussurra) Ornella Muti nei panni di Vincenzina che aspetta il marito fuori da quella fabbrica, è un’immagine irreale per la realtà odierna. Oggi per fortuna le donne lavorano; (resta zitto) in Romanzo popolare i dialoghi sono fondamentali, tanto che fu organizzata una seduta con lo stesso Jannacci accompagnato da Beppe Viola (storico giornalista e scrittore) per preparaci al dialetto milanese che Mario aveva in testa.
Tognazzi come si trovava?
Ugo credeva in Mario nonostante i rimproveri dello stesso Mario.
Rimproveri, per cosa?
Dal punto di vita disciplinare Ugo non era sempre perfetto: si presentava in ritardo. “Devi essere puntuale! Qui i macchinisti arrivano un’ora prima per preparare la scena! Per farvi fare bella figura”.
Nel film ci sono scene di sesso forti…
In questo modo gli sceneggiatori hanno dato la cifra della passione tra due ragazzi; (pausa, cambia tono, sorride mentre scandisce) Ornella lo sa, ma a forza di girare certe situazioni…
Non era del tutto indifferente.
Noooo, e poi Ugo mi spingeva e suggeriva: “La devi corteggiare, ci devi saper fare”; Ornella era di una bellezza rara.
E…
Dopo un mesetto mi sono accorto che lei mi guardava con grande simpatia, e un giorno, mentre eravamo in ascensore, da soli, ho provato ad avvicinarmi, ad abbracciarla e lei mi ha mollato uno schiaffone sul viso accompagnato da un “come ti permetti!”.
Dolore.
Poi ci siamo riappacificati, ma poteva succedere con una ragazza bella come lei; (pausa) sempre nel 1974 ho girato Mio Dio, come sono caduta in basso! insieme a Laura Antonelli.
Altra bellissima.
Appunto, ma Laura era più fredda, mentre Ornella…
Cosa?
Era diversa, sul set erano tutti innamorati, tutti a farle la corte, compreso Carlo Vanzina, al tempo aiuto regista, che le mandava le rose, mentre Tognazzi usava me come termometro per capire se cedeva.
Negli Stati Uniti, per certe scene, c’è l’obbligo dell’intimacy coordinator per decidere ogni dettaglio.
Oggi quel tipo di scena non potremmo girarla, non ci sarebbe quel tipo di ardore, nonostante la presenza di macchinisti, elettricisti e altre maestranze.
E Jannacci?
Anche lui preso, per questo Vincenzina e la fabbrica è una canzone così carica di sentimento; era impossibile resistere a Ornella, così ragazzina e allo stesso tempo così donna; dolce e decisa. Io dopo quella pizza non ci ho più provato.
Ultimamente si è rivisto?
Quel film lo conosco a memoria, lo amo.
E come si giudica?
Ha avuto ragione Mario a scegliere un ragazzo che aveva tutte le componenti umane di fragilità ed entusiasmo; da lì sono entrato nel cinema importante, nell’Olimpo. Da lì ho lavorato con tutti i migliori.
Empatia immediata con Monicelli.
Gli ero simpatico perché vero, sembravo preso dalla strada, non mi mascheravo dietro a certi toni nonostante fossi uscito dall’Accademia. Mi sono lasciato guidare, ubbidivo, rispettavo la disciplina imposta sul set.
Disciplina ferrea.
Chiamava tutti a raccolta e amava ripetere: “In casa dovete tenere un ritratto dei fratelli Lumiere, e ogni mattina, prima di uscire, è fondamentale inginocchiarsi e ringraziarli per la vita che ci permettono di vivere”. Noi tutti a ridere.
Quindi l’Accademia non l’aveva trasformata.
Avevo Luca Ronconi come professore e al secondo anno mi hanno cacciato.
Perché?
Era la fase del ’68 e occupammo l’Accademia; (cambia tono) proprio per quel clima, con attori come Flavio Bucci, ci mettevamo d’accordo per cambiare le battute direttamente sul set, improvvisavamo. Mentre per altri il copione era sempre sacro.
Massimiliano Bruno e Sara Serraiocco al Fatto hanno raccontato che ancora oggi alcune scene lei le improvvisa.
Fa parte della mia formazione, specialmente nella commedia. Mario ripeteva: “Sei un attore brillante, comico”. E anche qui aveva ragione; (ci pensa) in Alessandro Borghi rivedo certe mie tonalità.
Con Monicelli ha girato il suo ultimo film, La rosa nel deserto.
Mario aveva 90 anni, il set era estremo, per questo la produzione mi aveva sistemato nella stanza accanto alla sua; avevo pure firmato un contratto particolare: lo avrei sostituito in caso di morte.
Botta di allegria.
Lo seguivo sempre, ero sempre vicino a lui; poi quando venne a sapere della clausola iniziò a urlare: “Hai rotto il cazzo, devi stare a 100 metri da me e non voglio vederti quando non sei in scena”. Poi aggiunse un tie’ tie’ tie’ accompagnato dalle corna.
Bella tempra.
Nei momenti in cui era stanco, la soluzione era prendere in giro Alessandro Haber: io accendevo la miccia e Mario iniziava ad attaccarlo. Lo massacrava. Era la vittima preferita.
Torniamo a Romanzo popolare: per quel ruolo vinse un Globo d’oro e la nomination per i Nastri. I premi quanto contano?
Mario, nel suo ultimo appartamento, non ne aveva neanche uno, forse erano nello stanzino.
E per lei?
Quando ricevo dei premi li distribuisco in famiglia. Amo più i manifesti; (alza leggermente la voce) qualcuno si ricorda chi ha vinto il David di tre anni fa? Però al momento, se si è in gara, uno ci tiene…
Le è capitato spesso.
Una volta insieme a Nanni Moretti, io per Romanzo criminale, lui per Il Caimano. Eccome se ci teneva; uhhh, guai.
Lei chi era nel 1974.
Un ragazzo che veniva dalla provincia di Foggia, che aveva vissuto dei momenti di difficoltà economica e con la famiglia che premeva perché tornasse al paese per poi sistemarsi grazie a un posto fisso.
E lei ci ha pensato?
Per un attimo, sì. Poi è arrivato Romanzo popolare ed è cambiato tutto.