il Fatto Quotidiano, 28 aprile 2024
Gli Usa a Netanyahu: “Se entrate a Rafah non vi vendiamo più le armi già stabilite”
La sorte di Rafah è appesa al filo della proposta di accordo avanzata da Israele che Hamas sta studiando e sui cui, ha annunciato, darà una risposta. Ma se non ci sarà l’intesa per il cessate il fuoco ed il rilascio degli ostaggi, l’esercito entrerà nella città più a sud della Striscia. Una corsa contro il tempo e sul filo del rasoio, visto che l’operazione di terra dell’Idf sembra alle porte, nonostante le centinaia di migliaia di sfollati palestinesi stipati a Rafah.
Ma l’operazione nella città al confine con l’Egitto e l’infuriare della battaglia che ne seguirà potrebbe avere un costo anche per gli ostaggi ancora in mano ad Hamas. Proprio ieri, la fazione islamista ha diffuso un nuovo video con due di loro – Keith Siegal e Omri Miran – che chiedono al governo Netanyahu un accordo immediato per la loro liberazione. Il disperato appello ha rinvigorito le proteste contro Bibi, con il Forum delle famiglie dei rapiti che ha chiesto al governo di fare una scelta: “Rafah o gli ostaggi. Scelga quest’ultimi”. “Abbiamo ricevuto – ha detto Khalil al-Hayya, vice capo del braccio politico di Hamas a Gaza – la risposta ufficiale alla proposta di cessate il fuoco, consegnata ai mediatori egiziani e del Qatar il 13 aprile. Il movimento – ha aggiunto – la studierà e, successivamente, darà una risposta”. Un tempo che serve ad Hamas per confrontarsi anche con le altre fazioni palestinesi di Gaza, la Jihad islamica e il Fronte popolare, anche loro coinvolti nell’attacco del 7 ottobre.
Israele resta in attesa ma è chiaro che considera la controproposta “l’ultima chance” prima dell’ingresso a Rafah e forse anche nel corridoio Filadelfia, la stretta zona cuscinetto che corre lungo il confine tra Gaza e l’Egitto e che Il Cairo considera intoccabile.
L’operazione a Rafah rischia di creare conseguenze anche nei già tesi rapporti di Israele con l’amministrazione Usa. Biden, secondo quanto ha scritto Thomas Friedman sul New York Times, potrebbe anche considerare di tagliare la vendita, decisa di recente, di alcune armi allo Stato ebraico. I motivi sono molti: non solo che l’operazione a Rafah possa far saltare le possibilità di accordo. Ma anche “la formazione di una forza di pace araba che potrebbe rimpiazzare l’esercito israeliano a Gaza, in un accordo diplomatico sulla sicurezza tra Israele, Arabia Saudita, Usa e palestinesi e, infine, l’unione di Stati arabi moderati e alleati europei in una coalizione contro le minacce missilistiche dell’Iran”.
L’azione militare a Rafah è motivo di spaccatura anche all’interno del Gabinetto di guerra israeliano. Con la tensione che cresce di ora in ora come dimostra anche l’ultimo episodio relativo all’annuncio, da parte del capo dell’Idf Herzi Halevi, della resa di “centinaia di terroristi a Gaza”. “Non avremmo potuto ucciderne qualcuno?”, ha tuonato il ministro della sicurezza nazionale e falco di destra, Itamar Ben Gvir.