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 2024  aprile 28 Domenica calendario

Stralcio di “Ricordatemi come vi pare” il nuovo libro postumo firmato Michela Murgia

Come siamo arrivati a questo punto così, di colpo? È la domanda a cui ho cercato di dare una risposta in una serie di stories di Instagram, nelle quali ho ripercorso gli ultimi trent’anni di storia italiana per spiegare come si è arrivati a un “nuovo fascismo”. Rileggiamole e intessiamole insieme.
Ministri che parlano di razza, controllo dei corpi delle donne, diritti tolti alle minoranze, politiche xenofobe, contestanti schedate dalla Digos, epurazioni nel sistema culturale e d’informazione: ecco l’elenco che ho stilato per sintetizzare la cronaca politica da maggio scorso. La questione è che non ci siamo arrivati di colpo. È una deriva che molti avevano già previsto negli scorsi decenni. Lo stato delle cose attuali era prevedibile da anni e ci sono state voci che lo hanno fatto, partendo da eventi enormi o piccolissimi, ma tutti rivelatori di questo nuovo fascismo. Provo a ritornare sui passaggi che sono stati rivelatori per me.
A vent’anni leggo un libro reportage di Gad Lerner, Operai. Lo prendo in biblioteca perché voglio capire. Partendo dalla Fiat, Gad racconta come è cambiato il mondo del lavoro nel settore primario, i suoi attori e soprattutto la sua ideologia. Il passaggio che mi colpì allora raccontava di come gli operai di fabbrica, strutturalmente votanti a sinistra, avessero gradualmente cominciato a dare consenso alla Lega Nord. La Lega era questa roba qui, Bossi che gridava che la Lega ce l’aveva duro. Non erano anni in cui ero politicamente e culturalmente strutturata per collegare quel passaggio storico a cose avvenute quando non ero ancora nata, ma un campanello mi suonò in testa e non smise più. Dopo l’ascesa della Lega – un partito apertamente razzista, antimeridionale, maschilista e separatista per ragioni economiche e fiscali – il punto di svolta è stato il 2001. Non credete a chi dice che furono le Torri Gemelle. Il G8 di Genova è un punto di non ritorno per la mia generazione. La violenza di Stato contro gli inermi, gli insabbiamenti, la morte di Carlo Giuliani, i politiciche coprirono gli abusi, i colpevoli che facevano carriera, le notizie manipolate, i processi pieni di bugie. Genova ha spezzato per sempre la mia fiducia nello Stato democratico. Persone comuni, adulte e giovani, di ogni provenienza, chiedevano ai governi del pianeta di avere più attenzione per le persone e meno per le merci. E furono vittime di un pestaggio di massa da parte delle forze dell’ordine sotto il tollerante sguardo del governo italiano. Il governo era un’alleanza tra Lega Nord, Alleanza nazionale e Forza Italia.
L’anno successivo fu approvata la legge sull’immigrazione, madre di tutti i respingimenti, che non a caso si chiama Bossi-Fini. Due anni dopo fu approvata la legge Biagi, che precarizzava tutti i lavori fuori dal contratto nazionale di categoria. Allora ancora non scrivevo, ero un’insegnante di religione in Sardegna, mi occupavo di politica come fa una cittadina: leggendo e votando. Ma comincio a pensare che Primo Levi ci avesse visto giusto. Ogni tempo ha il suo fascismo.
Metterei un accento sulla questione del lavoro e della sua precarizzazione. Condividere le stesse condizioni lavorative e di impiego crea coscienza collettiva e soggettività sociale. Fare una legge che riporta la contrattazione del lavoro alla singola persona frantuma all’origine la possibilità di creare una coscienza comune, di classe o meno. Distrugge l’idea del lavoro come questione collettiva: tutti soli davanti al padrone. Inizia la retorica del merito. Il fascismo storico era un fenomeno borghese, non popolare, specie sul fronte del lavoro. La retorica del duce- contadino che trebbia faceva il paio con lo scioglimento dei sindacati veri, la repressione violenta degli scioperi e gli accentramenti monopolistici. Se volete testare un fascismo, osservate i suoi rapporti con i grandi interessi industriali e confrontateli con chi invece il lavoro lo fatica sottopagato o non lo trova. Domandatevi: quali interessi difende? Un esempio: il discorso di Giorgia Meloni all’assemblea dei delegati della Cgil, in cui veniva ribadito il “No” al salario minimo.
Nel 2006, dopo tre anni di legge Biagi, datelefonista decido di raccontare cosa succede nei posti in cui i contratti “creativi” determinano la vita di chi li firma. È il momento in cui capisco che incazzarmi non basta. Il dissenso va organizzato e io so farlo solo in un modo: cercando parole esatte.
Negli anni successivi succedono tre cose politicamente molto rilevanti. La prima è il Family Day, il tentativo delle destre di attaccare i diritti Lgbtqia+ e la libertà riproduttiva delle donne, seguito dalla censura, in Veneto, dei libri degli intellettuali sgraditi e il caso Englaro. Il Family Day vede i vertici Cei guidati da Ruini schierarsi con le peggiori formazioni del cattolicesimo conservatore. Sui diritti questo nuovo fascismo fa patti con le istituzioni ecclesiastiche italiane. Lavorando sulle interpretazioni identitarie ed etniche.
Lo spiega bene un libro, fondamentale per me per capire il patto Lega-Chiesa, di Paolo Bertezzolo: Padroni a chiesa nostra.
Vent’anni di strategia religiosa della Lega Nord dell’Editrice Missionaria Italiana. Il caso Englaro è esemplare per spiegare come il nuovo fascismo pretenda il controllo dei corpi e delle scelte di vita collegate. Questo nuovo fascismo si serve dei percorsi democratici, prima di arrivare a forzarli. Se questo fascismo non lo vediamo arrivare, è perché non siamo abituati a vedere il fascismo arrivare da una democrazia. Lo abbiamo sempre visto partire da monarchie o instabilità più o meno dittatoriali. Si tratta di un percorso relativamente nuovo: la “democratura”. Secondo il dizionario Treccani è un regime politico improntato alle regole formali della democrazia, ma ispirato nei comportamenti a un autoritarismo sostanziale. Lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano coniò la parola democratura per descrivere la convivenza di elementi democratici e autoritari all’interno di un modello che potremmo definire “democrazia ristretta” o in altri termini “dittatura costituzionale”.
Cosa succede a sinistra nel frattempo? A proporsi come “democratore” è stato con un certo successo Matteo Renzi. Questo perché ha tentato riforme centraliste (per fortuna il referendum costituzionale lo perse, immaginate uno strumento simile oggi in mano a Meloni), era un populista che disintermedia la comunicazione tra “il capo” e “il popolo” (hashtag #dilloamatteo su Twitter), querela (o minaccia di farlo) giornalisti e intellettuali (hashtag #colposucolpo), e fa propria la retorica del merito e dell’eccellenza (dovremmo tutti essere Marchionne) concretizzandola nel Jobs Act. Lo so, adesso arriva qualcuno a dirmi: ha fatto anche cose buone. Tipo la legge sulle unioni civili. Ma è stata esattamente quella legge, da cui è stata stralciata la questione fondamentale dell’adozione interna alla coppia Lgbt, ad aver creato la situazione che oggi permette a Meloni di cancellare il nome di un genitore dai registri pubblici.
Quella legge da un lato dice che possiamo unirci civilmente con chi vogliamo, ma dall’altro conferma che non siamo una famiglia per lo Stato, perché i congiunti non possono adottare la prole del o della partner né accedere alle adozioni esterne. Quella legge, che apre a un diritto minimo, ne ha bloccati per anni altri molto più delicati, le cui conseguenze non ricadono sugli adulti, ma sulle bambine e i bambini.
Renzi è stato obbligato a fare quella legge perché altrimenti si sarebbe preso una condanna dall’Europa per il vuoto legislativo e la discriminazione delle persone Lgbtqia+. Ha approvato una legge al ribasso perché negoziare con le destre sui diritti è stata una delle questioni centrali del renzismo. Che riguarda anche l’immigrazione: è il pensiero renziano, che è un pensiero di destra, a orientare il decreto di criminalizzazione del salvataggio in mare che renderà difficile l’azione delle ong. Infine, arriva Giorgia Meloni. Arriva quando può finalmente arrivare senza che la massa lo trovi strano o pericoloso. In sintesi, citando di nuovo Primo Levi: “Ogni epoca ha il suo fascismo”. Ho finito. Avevo rovinato la domenica ai miei follower quando ho pubblicato all’inizio dell’estate questi appunti nelle stories di Instagram, così come sto rovinando l’umore ai lettori di queste pagine ripercorrendo quei contenuti. Ma andava detto. D’ora in avanti solo cose belle, prometto.