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 2024  aprile 28 Domenica calendario

Meno aromi, più alcol e un altro colore Il nuovo clima cambia anche il vino


Il bicchiere non è mai stato così vuoto. Bisogna tornare al 1961 per trovare una produzione di vino altrettanto scarsa: 237 milioni di ettolitri nel mondo nel 2023, in calo di 25 milioni rispetto all’anno precedente. I consumi sono ai livelli più bassi dal 1996 e nel suo rapporto sul 2023, l’Oiv – Organizzazione internazionale della vite e del vino – giovedì scorso ha prospettato un futuro incerto per la bevanda che pure da sempre accompagna l’uomo.
Le ragioni del calo le aveva spiegate, tra gli altri, uno studio sul numero di aprile di Nature Reviews.
Il caldo ha ormai un effetto dirompente sui vigneti. In 40 anni la vendemmia si è anticipata di 2-3 settimane. Se il riscaldamento climatico arrivasse a 2 gradi (ora siamo a 1,4), «il 90% delle regioni vinicole tradizionali situate nelle pianure e nelle regioni costiere di Italia, Spagna e Grecia rischierebbe di scomparire entro la fine del secolo», scrive la rivista scientifica, a tutto vantaggio delle latitudini maggiori, con la Gran Bretagna già entrata tra le nazioni produttrici di discreto livello.
Il rapporto dell’Oiv offre un assaggio di questo scenario: se nel mondo la produzione è calata mediamente del 10%, in paesi caldi come l’Italia e la Spagna si è scesi del 23% e del 21%, arrivando a 38 e 28 milioni di ettolitri. Per l’Italia è il valore più basso dal 1950. Il crollo nasce da “condizioni ambientali estreme” ha sintetizzato il direttore di Oiv John Barker. La superficie coltivata è rimasta infatti quasi invariata. Per l’Italia l’Organizzazione incolpa le malattie fungine al centro al sud, la siccita’, le alluvioni e la grandine nel resto del paese. La Francia, meno penalizzata dalla latitudine, ha prodotto il 4% di vino in più ed è oggi al primo posto nel mondo.
A cambiare però non è solo la quantità di vino presente nel bicchiere. L’ultimo numero della rivista CreaFuturo (il Crea è il Consiglio per la ricerca in agricoltura e ha un centro chiamato Crea-Ve dedicato a viticoltura ed enologia) spiega ad esempio come il caldo influisce sulla maturazione dell’acino, rendendo il vino del cambiamento climatico meno aromatico, dal colore rosso meno intenso, meno acido e più propenso a invecchiare prima.
«Il vino contiene centinaia di composti» spiega Antonella Bosso, autrice dell’articolo, dirigentetecnologa e responsabile della sede di Asti del Crea-Ve. «Sappiamo che il caldo rende l’uva più zuccherina, quindi alza il grado alcolico del vino. Ma non è questo l’unico effetto. Le temperature elevate riducono la produzione di antociani, i pigmenti colorati presenti nella buccia dell’uva rossa. Il colore del vino diventa così più tenue».
L’uva cresciuta con temperature alte contiene anche meno acidi. «Un tempo il pH del vino arrivava a 3, oggi siamo intorno a 4. L’acidità si è ridotta, rendendo la vita meno difficile ai microrganismi e favorendo l’ossidazione dei vini. Quel senso di freschezza tipico soprattutto dei bianchi tende dunque a svanire prima. Un vino meno acido è un vino che si conserva meno» spiega Bosso. Lasciare una bottiglia a prendere polvere vuol dire ormai rischiare di perderla.
L’anticipo della vendemmia rispetto al passato compromette poi la ricchezza degli aromi. Con l’aumento della temperatura, tutto il ciclo vitale della vite è infatti accelerato e la maturazione avviene prima. «Questo compromette la ricchezza degli aromi» spiega Bosso. «La differenza si sente soprattutto nei vini aromatici come i moscati. I terpeni, responsabili del loro profumo, tendono a degradarsi con il caldo». Questo vale durante la maturazione dell’uva, ma anche quando la bottiglia è in cantina.
Metodi come la potatura tardiva, l’irrigazione e la vendemmia leggermente anticipata rispetto alla piena maturazione sono le tecniche con cui i viticoltori provano a ovviare alle difficoltà arrivate col cambiamento climatico. Nel tino si possono usare lieviti che limitano l’aumento del grado alcolico dovuto all’uva più zuccherina o regolano l’acidità del mosto. «Si stanno selezionando poi – prosegue l’enologa – varietà più adatte al nuovo clima, sia cercando tra i ceppi delle vigne vecchie sia facendo ricorso all’editing genomico. Ma certo ripiantare ex novo un vigneto non è sempre sostenibile. Ci vogliono tre anni prima che una giovane pianta entri in produzione».
Questa stagione intanto, partita con l’acceleratore per le temperature alte dell’inverno e di inizio aprile, è tornata abbastanza sui binari con gli ultimi giorni di freddo. «Avevamo tralci già lunghissimi rispetto al periodo» racconta Bosso, in base alla sua esperienza piemontese. «Il freddo di questi dieci giorni è stato intenso, ma non ha creato grandi danni. Frenando la crescita dei germogli, li ha riportati a uno sviluppo più normale rispetto alla data in cui siamo». Le previsioni stagionali però suggeriscono un’altra estate con temperature sopra alla media e una forte siccità al Sud. Non le premesse migliori per tornare a riempire i calici in Italia.
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