la Repubblica, 27 aprile 2024
Nelle botteghe dei liutai
Mozart abitava là, davanti al Duomo, in una stanza dell’albergo “della Colombina”. Era il 1770, e lui un quasi divo di 14 anni. Cremona era già quello che è ancora oggi, la città di Stradivari e dei liutai. Non è cambiato un granché, se non che nelle stalle di quella locanda c’è ora la bottega di un maestro famoso, e nella sua saletta da musica ci sono tre potenziali clienti americani. Ma neanche il liutaio è italiano. O meglio, Giorgio Grisales è colombiano-cremonese, ed è straniero il 40 per cento degli artigiani che qui costruiscono violini, viole e violoncelli. «Questo è il posto, non ce ne sono altri al mondo», spiega Ayoung An, coreana di 32 anni, non può ancora dirsi maestra ma spera, spera. «È la città perfetta per studiare quest’arte e per trovare i materiali giusti. Ci sono maestri da cui imparare, e condividere la conoscenza». Intanto, affina una tavola armonica. Abete rosso della Val di Fiemme, come si è sempre fatto.Poi, c’è la Scuola Internazionale di Liuteria, che attira più stranieri che italiani da sempre, e diploma aspiranti maestri che cercheranno una bottega dove imparare alcuni segreti, e dopo si metteranno in proprio e avranno magari fortuna. Diventeranno forse come Istvan Konia, che ha 78 anni e riceve in un laboratorio piccolo e famoso nel mondo, in un leggero profumo di legno e in un italiano perfetto come i suoi pezzi, «ma arrivando dall’Ungheria, era il 1968, tutti mi dicevano che avevo un nome troppo difficile. Così l’ho cambiato in Stefano Conia». Sul perché sia arrivato qui, «lavoravo come assistente di camera operatoria, ma mi piacevano i violini, mio padre li costruiva in cucina… Il mio professore mi disse: “Vai a Cremona, vai da Stradivari”», forse intuendo che quelle mani potevano creare. «E come vede, per fare un violino basta poi poco. Un bancone, e una finestra. Nessun macchinario, nessun capannone», in un lavoro che «è un gioco, e se non lo faccio divento nervoso». Nel mentre, pialla una fascia di acero candido «che non ho misurato, ma scommetto che è giusto: 1 millimetro e 2 decimi» (e sarà giusto). Ricorda un commerciante che «voleva solo violini con le fasce da un millimetro. Poi si è buttato su quelli cinesi» che però sono altra cosa. Al secondo bancone il figlio Stefano junior, perché è anche un mestiere che va di padre in figlio, si formano delle dinastie, crescendo così, tra i trucioli e l’odore della gommalacca, gli strumenti appesi sulla testa a seccare come i salami.Il maestro spiega che «nel 1972 eravamo quattro gatti, a scuola. Nella mia classe 2 italiani e 6 stranieri». Allora è cominciato il boom,«e negli Ottanta, ancora di più. Nel 2000 però è arrivata la crisi, e oggi reggono alcuni mercati, l’America, l’Australia, la Nuova Zelanda. Il resto è saturo», spiega Grisales, mentre congeda gli americani (commercianti, musicisti) che hanno saggiato un suo violino per qualche ora, e stanno andando in un’altra bottega come succede a Cremona, «dove il business si fa sulle conoscenze, e loro girano, provano, poi comprano». Le botteghe sono 180, nascoste nelle stradine acciottolate di questa città tranquilla, qualità della vita alta, e il silenzio per creare un’opera d’arte.E lei, come è arrivato fin qui dalla Colombia? «Per sfuggire a un destino che non volevo. Studiavo medicina, e anche il violoncello. Ho visto un documentario che si intitolava Bell’Italia, parlava di questa città, ho deciso di venirci». Grisales, nel suo elegante grembiule di tela grossa (tutti indossano sempre il grembiule o il camice, e che sia grigio o marrone) è presidente del Consorzio Liutai Antonio Stradivari, che riunisce 60 botteghe e difende il Made in Cremona, «l’italianità del prodotto, l’eccellenza». Sta partendo per Helsinki, poi Singapore, poi Seoul, per una «mostra commerciale, portiamo 30 strumenti dei nostri artigiani». Valore altissimo, un violino fatto così e qui vale decine di migliaia di euro, «ed è sempre un bene rifugio, oltre che bene immateriale Unesco. Molti fondi di investimento li cercano. Pensi che un pezzo di un grande maestro degli anni ’60 valeva 5 milioni, e oggi 45-50mila euro». Poi, ci sono i grandi strumenti, gli Stradivari da 15/16 milioni, quasi tutti all’estero, a parte la collezione del Museo del Violino di Cremona che conserva il “Cremonese” del 1715, «valore inestimabile, di proprietà del Comune». E i cinesi? Prezzi concorrenziali, le fabbriche ne sfornano 10mila al mese, mentre da Cremona escono forse 1800 pezzi all’anno, forse. Tutto grazie a uno studente cinese, Zheng Quan, «molto bravo, ha studiato qui ed è tornato a Pechino, con l’aiuto del governo ha messo su una scuola importante», poi sono arrivate le fabbriche. Molti asiatici tornano in patria, molti restano affascinati dal mestiere antico e si fermano. Ayoung An (nome italiano: Anna Arietti) e il marito Wang Sun Han, sperano di «costruirsi una fama, come artisti», attirando così i compratori nel minuscolo studio, con le sgorbie e gli scalpelli, le squadre e i compassi di Sacconi, i barattolini di colle naturali, le vernici preziose. E arriva il momento in cui «provi lo strumento che hai costruito», dice la maestra Bénédicte Friedmann, nata a Reims, qui dal 1999. «Perché ogni pezzo deve essere bello, e suonare bene. Bisogna pensare al suono che si vorrebbe, mentre lo si fa, c’è una pasta sonora da costruire». Sappiate anche che questi strumenti vanno suonati da neonati «e poi crescono nel tempo, come le emozioni», e che mestiere misterioso è, questo dei liutai.