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 2024  aprile 27 Sabato calendario

Intervista a Linda Caridi

ROMA «Il livello è alto, sinceramente non me l’aspettavo», dice Linda Caridi, l’outsider delle cinque candidate come miglior attrice ai David di Donatello del 3 maggio. Con L’ultima notte di Amore di Andrea Di Stefano, si ritrova in un girone di ferro: Paola Cortellesi, Micaela Ramazzotti, Isabella Ragonese e Barbara Ronchi: a sorpresa, fu Barbara a vincere lo scorso anno. E il testimone dell’outsider lo passa a Linda, 36 anni, nata a Milano da genitori calabresi.
Sembra sbucata dal nulla.
«Perché finivo sempre in film di nicchia o autoriali, al di là degli spettacoli teatrali, dopo la scuola Paolo Grassi. Ora la gente comincia a fissarmi e secondo me pensa: è la commessa del supermercato qui sotto, o l’ho vista da qualche altra parte? Forse non ho un viso particolarmente incisivo o sgargiante».
Linda, conosce le altre attrici candidate?
«Personalmente, nessuna. Con Barbara ogni tanto ci scriviamo, abbiamo un’amicizia comune, quella con Vanessa Scalera. Il film di Barbara, Rapito di Bellocchio, ha una forte incidenza civile. Paola Cortellesi in C’è ancora domani ha trovato il modo di dire con semplicità che la cultura maschilista, soprattutto per una donna matura, è mortificante, a livello fisico, verbale, emotivo, psicologico».
Questo è il mestiere che ha sempre voluto fare?
«Da piccola imitavo i miei genitori, mi travestivo, mio padre aveva già la pancia e mettevo golf su golf sotto la maglietta. Ma avevo tanti sogni: sarta, parrucchiera, astronauta, macellaia».
Macellaia?
«Oggi suona come un desiderio ingiusto e anacronistico».
Tra l’altro, lei ha interpretato una ragazza anoressica.
«Sì, a teatro per un testo denso e amaro, Bambolo. Un viaggio in una patologia che ho conosciuto grazie a un laboratorio teatrale al Niguarda di Milano. Penso che ci sia un equivoco sociale. È un disagio e una fragilità che parte da difficoltà relazionali, non ha nulla a che vedere col desiderio estetico».
Supersex
Nella serie con Borghi
ho dialogato con il mio corpo, ho avuto
il coraggio di esplorarmi
Che ragazza è stata?
«Ribelle. Al mare sotto ai tavoli del campeggio misi i rospi nelle scarpe eleganti degli altri ospiti. Mi rasai a zero i capelli, feci il piercing e scappai da mia nonna in Calabria perché papà si arrabbiò. È un ferroviere in pensione, è stato anche sindaco nella cittadina dell’hinterland dove sono cresciuta, a Pessano con Bornago. Milano era troppo cara e abbiamo vissuto la stessa situazione che vivo nel film che corre ai David, con Pierfrancesco Favino, il poliziotto che si mette nei guai il giorno prima della pensione: anche mio padre faceva tanti lavoretti per arrivare a fine mese».
Lei dice che non le darebbero mai la parte di Medea, perché ha un’immagine dolce. In realtà come ragazza di Rocco Siffredi in «Supersex» ne fa di tutti i colori.
«Il tempo sta smentendo i miei timori, di restare relegata a ciò che il mio aspetto suggerisce. Odiavo la dolcezza, poi ci ho fatto pace. Vivo la mia complessità».
Lei a Rocco, interpretato da Alessandro Borghi, sputa in faccia, dà una sberla che lui le restituisce, poi gli chiede di fare l’amore in un certo modo...
Sorride: «Ho dialogato senza limiti col mio corpo. Ho letto ogni dettaglio della sceneggiatura. Sono contenta di avere avuto il coraggio di esplorarmi. La terapia mi ha aiutato a trovare armonia tra i vari aspetti del mio carattere. Quella ragazza è esistita veramente, mi riconosco nei suoi desideri e nelle sue paure, nei nostri corpi c’è una stratificazione di un vissuto gioioso e traumatico. Rocco ebbe una storia con lei, faceva la modella nel porno soft, dove i rapporti si simulano. Si lasciarono perché non accettava il lavoro di Rocco. Alessandro Borghi è un collega scientifico nella gestione del proprio fisico e in quella mentale».
Cos’è la trasgressione per lei?
«La libertà totale nella vita quotidiana e nelle relazioni, senza ferire gli altri».
Non c’è traccia di egocentrismo, che è nel Dna di tante sue colleghe.
«Le adulazioni sono faticose e limitative. Ho frequentato un corso di meditazione della poetessa Chandra Livia Candiani. Mi ha insegnato che è nel vuoto che avvengono le cose, che il silenzio è una cosa viva. Mi ha insegnato ad ascoltare il battito del cuore».