Corriere della Sera, 27 aprile 2024
Scozia, addio sogni d’indipendenza
Londra Il governo scozzese è imploso e il sogno dell’indipendenza si fa sempre più remoto. Giovedì la maggioranza al potere a Edimburgo si è spaccata, con il primo ministro nazionalista Humza Yousaf che ha cacciato dall’esecutivo i rappresentanti del partito dei Verdi, suoi alleati.
Yousaf ha agito per prevenire la mossa dei Verdi, che già si preparavano a lasciare il governo: la frattura è avvenuta sui due questioni, la transizione ecologica e i diritti dei transessuali. Il primo ministro aveva annunciato l’abbandono dell’obiettivo del taglio delle emissioni di anidride carbonica del 75% entro il 2030: una rinuncia che per i Verdi equivaleva a un tradimento, ma che era improntata a quel realismo che si sta facendo strada, a Londra come a Edimburgo, di fronte ai costi della transizione energetica.
I nazionalisti scozzesi hanno inoltre accettato le conclusioni del rapporto Cass, l’indagine pluriennale commissionata dal sistema sanitario inglese che ha bollato tutta la medicina in materia di transizione di genere come scientificamente poco fondata e ha raccomandato di non somministrare farmaci inibitori della pubertà ai minori: un rapporto che però è stato stigmatizzato come «transfobico» dai Verdi, sostenitori delle più estreme teorie gender.
Senza l’appoggio degli ecologisti Yousaf, primo premier scozzese musulmano e di origine pachistana, non ha più una maggioranza: e le opposizioni conservatrice e laburista hanno presentato due mozioni di sfiducia, che saranno votate la prossima settimana. Il premier ha annunciato ieri di non aver intenzione di dimettersi e di voler continuare a battersi fino alla fine, ma in caso di sconfitta sarebbe probabile il ricorso a elezioni anticipate.
La crisi nell’esecutivo
Il primo ministro ha cacciato i ministri Verdi
per scontri su ecologia e diritti transgender
Per i nazionalisti scozzesi, al potere ormai da 17 anni, questa crisi è il punto di arrivo di una parabola discendente avviata all’inzio dell’anno scorso, con le dimissioni della premier Nicola Sturgeon, costretta a lasciare a causa delle reazioni alla avventata legge sull’autoidentificazione di genere e per gli scandali finanziari che hanno travolto lei e il suo partito: la ex leader è tuttora sotto inchiesta, dopo essere stata arrestata e rilasciata, mentre suo marito è stato formalmente incriminato per il disinvolto uso dei fondi di partito.
Sturgeon, che sognava di diventare la prima leader di una Scozia indipendente, aveva già condotto la causa separatista in un vicolo cieco, dopo che la Corte suprema britannica aveva detto no alla possibilità di un referendum sull’indipendenza che non fosse autorizzato dal governo di Londra (che non ha nessuna intenzione di concederlo).
Le dimissioni di Sturgeon sono state la certificazione di un fallimento personale e politico: ma dopo di lei il movimento nazionalista è scivolato su un piano inclinato sotto la guida debole e poco carismatica di Yousaf, incapace di individuare uno sbocco per il sentimento indipendentista. E gli ultimi sondaggi danno ormai, dopo decenni, i laburisti davanti ai nazionalisti: una ottima notizia per il loro leader Keir Starmer in vista delle elezioni nazionali di quest’anno, ma soprattutto una campana a morto per le prospettive di indipendenza, già sconfitte al referendum di dieci anni fa.
Il sostegno alla secessione da Londra resta radicato in Scozia, ma non pare riuscire a diventare maggioritario: e le vicissitudini del partito nazionalista, che dovrebbe esserne la bandiera, sembrano indicare che il futuro prossimo del Regno Unito non sia la sua disgregazione.