Corriere della Sera, 27 aprile 2024
Chama, la cittadina libanese che «resiste» a Hezbollah
Le ronde di giovani per evitare che la guerriglia di Hezbollah spari contro Israele: così ci si salva dai bombardamenti e dalla guerra. La svolta per i cristiani maroniti della piccola cittadina di Rmaich è avvenuta due giorni dopo l’attacco lanciato da Hamas contro gli insediamenti israeliani attorno a Gaza. «Era la sera del 9 ottobre. Sapevamo che la situazione sarebbe rapidamente peggiorata in tutto il Libano meridionale, già i nostri correligionari cristiani stavano scappando verso nord, mentre centinaia di profughi sunniti siriani cercavano rifugio sotto i nostri campanili nella speranza che facessero da scudo contro le bombe israeliane. È allora che abbiamo istituito le ronde per controllare l’accesso a Rmaich», racconta il 41enne Toni Elias, vice parroco di questo che è uno dei tre villaggi maroniti a ridosso della «blue line», come qui chiamano la linea di frontiera disegnata su quella del cessate il fuoco che dal 1948 separa il Libano meridionale dalla Galilea settentrionale difesa da fili spinati, campi minati e postazioni militari.
Lo incontriamo nella zona di Chama, che ospita il quartiere generale del contingente italiano di Unifil, la missione delle Nazioni Unite che con formati diversi dal 1978 monitora questo scacchiere estremamente teso e sensibile dello scontro arabo-israeliano. In questo momento sono di turno circa 1.100 alpini della brigata Taurinense: arrivati a febbraio, resteranno sino ad agosto. «In verità, Rmaich è oggi l’unico insediamento urbano tra i 107 villaggi lungo la Blue Line che è riuscito a preservare intatte le sue case e dove gli abitanti (quasi tutti sciiti) sono rimasti, nonostante quasi sette mesi di bombardamenti e combattimenti quotidiani tra Hezbollah e truppe israeliane», continua il sacerdote. I dati sono rassicuranti: dall’8 ottobre scorso, quando Hezbollah aprì il fuoco con razzi e proiettili anticarro in solidarietà con Hamas e Israele replicò subito a colpi di cannone e con attacchi mirati dei droni, quasi 100 mila civili libanesi sono sfollati verso i centri di raccolta a Tiro, nella valle della Beqaa o accolti da amici e parenti nelle zone urbane più a nord tra Sidone e Beirut. Sui poco più di 10 mila abitanti di Rmaich, oltre la metà si unì alla fuga. «Dominava lo spettro della guerra dell’estate del 2006, quando le cannonate israeliane e i tank avevano interrotto le vie di comunicazione verso nord. Non si voleva restare in trappola», ricorda.
Le reazioni
«Gli israeliani, visto che da noi non partivano colpi, hanno smesso di tirarci contro»
Fu allora che avvenne la reazione. I cittadini rimasti nel villaggio si riunirono, presero contatto con l’esercito libanese, il quale a sua volta parlò con l’Hezbollah per imporre una sorta di zona franca. A dire il vero, molto limitata, i prospicenti villaggi sciiti di Ayta el Chaeb, Ramyeh, Marwahine a nord e Yaroun verso est sono semidistrutti, con oltre il 50 per cento delle abitazioni colpite. A Rmaich invece solo una casa è stata parzialmente danneggiata. «Gli israeliani hanno visto che da noi non partivano colpi e hanno smesso di tirarci contro. Così, già a novembre la nostra gente ha cominciato a rientrare alle sue abitazioni, oggi valutiamo ci siano quasi 7.000 persone», dice. Non è sempre andata liscia, però. Per ben due volte Hezbollah si è avvicinato per sfruttare la calma relativa del villaggio e sparare. E puntuali i comitati di sorveglianza hanno reagito per scacciare i guerriglieri. Ma se la zona urbana è intatta, i campi coltivati e le piante da frutta restano irraggiungibili. «Le bombe al fosforo israeliane rendono la terra incoltivabile, bruciano le piantagioni di tabacco, gli uliveti e gli orti. La nostra economia è in ginocchio, valutiamo che quest’anno salveremo meno del 30 per cento del raccolto», dicono i contadini.
La malcelata ostilità nei confronti di Hezbollah traspare anche tra le famiglie di sfollati musulmani ospitati dalla protezione civile libanese nelle scuole di Tiro. Tutti sono ben contenti di criticare con durezza i raid israeliani, ma, se chiediamo cosa pensano di Hezbollah, la risposta è sempre la stessa: «Non sappiamo, siamo semplici contadini, non parliamo di politica». Subito dopo le devastazioni causate dalla guerra del 2006, non solo i cristiani e i sunniti, bensì anche tanti sciiti chiesero a gran voce il disarmo di Hezbollah. E ciò spiega il motivo per cui lo stesso capo del movimento armato, finanziato e ispirato dall’Iran, Hassan Nasrallah, abbia preferito fin qui evitare lo scontro aperto con Israele: la popolarità del suo partito resterebbe fortemente pregiudicata. Tra le coperte e le stoviglie ammonticchiate in una delle aule dell’Istituto tecnico locale, la 35enne Fatima Issa racconta delle 35 galline uccise dalle bombe con il cavallo e le 10 pecore: «Abbiamo perso tutto e non sappiamo quando potremo tornare alla nostra casa, che comunque è mezza bruciata».