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 2024  aprile 27 Sabato calendario

Il business di Putin verso Est

Il principe medievale Alexander Nevsky viene esaltato dai nazionalisti vicini a Vladimir Putin. È un simbolo della «vocazione asiatica» della Russia. M entre l’America preme sulla Cina perché cessi di sostenere Putin in Ucraina (il segretario di Stato Usa Blinken è a Pechino, minaccia sanzioni alle banche cinesi che finanziano la guerra di Mosca), lo scivolamento russo a Oriente è in primo piano.
Nel XIII secolo Nevsky regnava come principe di Novgorod, precursore della Russia imperiale. Si trovò a combattere su due fronti, Est e Ovest. Scelse di contrastare il nemico occidentale, i crociati teutonici che venivano dalla Svezia. Per sconfiggerli fece atto di sottomissione verso il nemico orientale, l’invasore mongolo che lo attaccava dall’Asia. Nella revisione putiniana della storia, i crociati dell’Occidente cristiano volevano distruggere l’identità della Russia mentre i mongoli si accontentavano che Nevsky pagasse un tributo come vassallo.
La lezione: come ai tempi di Nevsky oggi ai russi conviene allearsi con i cinesi, per salvarsi da un Occidente che minaccia il ruolo e l’identità profonda di Mosca. «Tutte balle», commenta uno dei massimi esperti di storia russa, Stephen Kotkin, docente a Stanford. Kotkin attira l’attenzione sul revival nazionalista di Nevsky sulla rivista Foreign Affairs. Lui evidenzia la manipolazione del passato. «Ci vollero secoli – scrive – prima che i russi riuscissero a liberarsi da quello che loro stessi definiscono il giogo mongolo».
La querelle attorno a Nevsky nasconde un tema scottante: se Putin stia trasformando la Russia in uno Stato-vassallo della Cina. La storia dei rapporti sino-russi ebbe una svolta all’inizio degli anni Sessanta: le due maggiori potenze comuniste del mondo divorziarono. Poco dopo la morte di Stalin (1953), Mao Zedong contestò la «destalinizzazione» avviata dai riformisti sovietici come Kruscev nel 1956. Dietro lo scisma ideologico affiorava una rivalità geopolitica, più profonda perché strutturale e ineliminabile, tra le due maggiori potenze terrestri del continente asiatico. Nel 1969 scoppiò una mini-guerra tra i due eserciti lungo il fiume Ussuri (in russo) o Wusuli (in mandarino) nella Manciuria. Quel breve conflitto lasciò irrisolta una contesa territoriale. Ricorda Kotkin: «la Russia rimane l’unica potenza che controlla dei territori strappati all’impero Qing, con quelli che i cinesi considerano dei trattati iniqui». Mao temette che l’Urss potesse lanciare un’offensiva ben più seria, addirittura nucleare. Aprì all’America, fu il disgelo con il presidente americano Richard Nixon e la regìa di Henry Kissinger. Il successore di Mao, Deng Xiaoping, fece seguire la graduale transizione al capitalismo. Ma la ricucitura con Mosca avvenne fin dal successore di Deng: Jiang Zemin ricominciò a comprare armi da Mosca. Xi ha ereditato una relazione bilaterale con Mosca che si era già ricomposta. Le ha dato uno slancio formidabile proclamando urbi et orbi la sua amicizia personale con Putin. Sulla guerra in Ucraina Pechino è allineata con la giustificazione russa sull’«accerchiamento della Nato».
Kotkin ricorda che la Russia resta un paese che guarda a Occidente. Per quanto possa aver sviluppato rancore e risentimento nei nostri confronti si sente europea, non asiatica. Pochi russi parlano mandarino, sono molto più numerosi gli anglofoni.
I rapporti economici bilaterali invece sono in pieno boom, dopo le sanzioni occidentali. Rispetto a dieci anni fa l’interscambio commerciale è più che triplicato balzando da 70 a 230 miliardi di dollari. È un rapporto squilibrato. La Cina continua a comprare alcuni armamenti (jet militari) dalla Russia, e materie prime; tuttavia sta attenta a non finire in una situazione di dipendenza come quella che segnò i rapporti tra Europa e Russia fino all’invasione dell’Ucraina. La costruzione di un nuovo gasdotto dalla Siberia alla Cina è ferma. La Repubblica Popolare con il suo monopolio mondiale su pannelli solari, pale eoliche e batterie elettriche, e con una crescente costruzione di centrali nucleari, lavora a indebolire la rendita energetica russa. Putin pur di vendere gas e petrolio alla Cina è costretto ad accettare pagamenti in renminbi, valuta che serve solo per comprare «made in China». È una dipendenza a senso unico.