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 2024  aprile 28 Domenica calendario

Decifrato il poema enigmatico di Pietro Celestino Giannone, carbonaro e pornografo

«Beati i maniaci, perché sono gli unici a possedere ancora un dio» fa dire lo scrittore francese Patrick Grainville al protagonista del romanzo Il paradiso degli uragani ossessionato dalla bellezza dei deretani femminili.

Come dargli torto? Un po’ maniaco doveva esserlo davvero, Pietro Celestino Giannone (1791-1872), amico e sodale di Mazzini, noto per il melodrammatico e un po’ lagnoso poema patriottico L’Esule che esule fu veramente e a lungo nel corso della sua vita vagabonda per l’Europa in seguito ai moti del 1821, dopo aver subito la carcerazione nel ducato di Modena dov’era nato, a Camposanto, da una famiglia d’origine partenopea.

Bisogna capirlo: abituato ai cifrari segreti della Carboneria, una volta giunto alla serena senescenza in un’Italia ormai libera ed una, Giannone faticava a dar sfogo alla mania crittografica maturata ai tempi delle “ carbonare, ma anche a un’altra meno innocente passione: quella, predominante, per il sesso. Da qui nasce il singolare miscuglio tra Carboneria, crittografia e pornografia sciorinato in «Enigma proibito Segreti ed erotismo nel poema criptato di Pietro Giannone» una piccola mostra molto stimolante, curata da Stefano Bulgarelli e Cristina Stefani, che il Museo Civico di Modena ospita fino al 21 giugno in uno spazio anch’esso quasi segreto. Qui, tra documenti e cimeli risorgimentali, vengono ricostruite le tappe dell’ardua sfida crittografica vinta da un’altra singolare coppia di maniaci: i matematici Paolo Bonavoglia e Consolato Pellegrino. Si deve infatti a loro la decifrazione d’un lascito intellettuale di Giannone che per un secolo e mezzo ha confuso gli storici.

Si tratta d’un testo crittografato, «combinato di cifre, lettere e astrusi segni convenzionali», che si riteneva di argomento politico e « di cui a tutt’oggi non si è trovata la chiave», stando alla voce “Giannone” che ancora compare sulla Treccani online.

Invece Bonavoglia e Pellegrino, la chiave l’hanno trovata, facendo affiorare dall’oblio i quattro canti superstiti (i due iniziali sono andati perduti) d’un poema in ottave di stampo decisamente pornografico. Molto più spinto – per restare in tema patriottico – dei Neoplatonici, il racconto omofilo di Luigi Settembrini, o della Culeide di Gabriele Rossetti, iniziatore di Giannone ai riti della Carboneria e suo amico durante l’esilio londinese, che esaltava le bellezze callipigie d’una certa Carolina.

Tutta roba da educande rispetto alle oscenità esplicite del poema di Giannone, un testo succulento che rovescia l’immagine vulgata d’un Risorgimento fatto d’inflessibili e serissimi uomini barbuti. Giannone la barba ce l’aveva eccome, ma per farla in barba ai censori e ai posteri che stavano relegandolo nell’oblio, magari confondendolo col suo quasi omonino, l’illuminista partenopeo Pietro Giannone (1676-1748). E ora si trovano alle prese con un poema erotico così spinto da aver costretto i curatori della mostra a relegare in una saletta riservata “ai maggiori di 16 anni” la proiezione di brandelli del testo (di cui il piccolo catalogo riproduce una sola pagina).

Nella versione integrale che ho potuto consultare succede di tutto, gerontofilia e zoofilia incluse, in un kamasutra di varie pratiche erotiche.

Nel canto III gli amplessi dei cugini Nando e Cesira si dilatano a partouze familiare al limite dell’incesto; nel IV Emma convince a farsi montare dal cane Calò la riluttante Isabella. Nel V il vecchio Gualtiero, già amante della madre e della nonna, chiede alle tre nipoti di metterlo alla prova: «Ah, se voleste sollevar la gonna…». E quelle lo lasceranno fare. Ma è sopratutto nel dileggio erotico del marchesino nipote di Pio IX, al quale la moglie preferisce villanzoni e frati zoccolanti (IV), o negli amori incestuosi di Lucrezia Borgia («Figlia ad un tempo al Papa e moglie e nuora …») nel Canto VI, che Giannone mescola la sua pulsante vena erotica al tradizionale anticlericalismo carbonaro e massonico. Il pornografo e il patriota alla fine si saldano in un’unica, leggibile figura: est modus in rebus, come ben sanno gli enigmisti. E il rebus Giannone è risolto.