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 2024  aprile 21 Domenica calendario

Su Megalopolis di Francis Ford Coppola

Il regista
Francis Ford Coppola (Detroit, 7 aprile 1939) è autore di alcuni capolavori del cinema hollywoodiano. Tra questi: la trilogia del Padrino (9 Oscar e 28 nomination) e Apocalypse Now (2 Oscar, Palma d’oro)
Il film
Megalopolis (in questa pagina due tavole dello storyboard) debutterà in concorso il 17 maggio a Cannes. Nel cast recitano, tra gli altri, Adam Driver, Giancarlo Esposito, Nathalie Emmanuel, Jon Voight, Laurence Fishburne, Shia LaBeouf, la sorella di Coppola Talia Shire col figlio Jason Schwartzman, Dustin Hoffman. La pellicola, alla quale il regista della trilogia del Padrino ha lavorato da più di quarant’anni e che ha finanziato con 120 milioni di dollari, è stata presentata a Los Angeles a una proiezione per i distributori ma, sostiene il sempre bene informato «Hollywood Reporter», avrebbe ricevuto una tiepida accoglienza
Quasi una leggenda. Se ne parla da più di quarant’anni, tra ipotesi e illazioni. A lungo, si è ritenuto che a Megalopolis di Francis Ford Coppola sarebbe toccato lo stesso destino de Il viaggio di G. Mastorna, l’opera-mondo cui Fellini si è dedicato per tutta la vita, senza portarla a termine. Non sarebbe stata un’eccezione. È davvero ricca la storia del cinema che non vedremo mai, come ha documentato Gian Piero Brunetta (L’isola che non c’è. Viaggi nel cinema italiano che non vedremo mai, Cineteca di Bologna). Da Pasolini a De Santis, da Olmi a Leone, da Tornatore a Fellini, appunto. Sono, questi, alcuni tra gli autori di sceneggiature rimaste nei cassetti, dietro cui si nascondono rinunce, fallimenti. Brogliacci interrotti in qualche punto del loro possibile sviluppo, spesso rifiutati dai produttori; talvolta, condannati a evolversi e a rimodularsi in altri progetti. Manifestazioni d’impotenza, che tuttavia spesso hanno inciso su invenzioni successive.

1979. Arriva nelle sale un capolavoro epocale come Apocalypse Now, dove, richiamandosi a diverse fonti letterarie (Wagner, Conrad, Eliot) e filosofiche (Nietzsche), Coppola offre una drammatica spettacolarizzazione della guerra: rappresenta il momento in cui l’inconscio dell’Occidente sprofonda nel baratro di una catastrofe violenta, che assume i contorni rosso-fuoco della giungla colpita dai bombardamenti al napalm.
In quegli stessi mesi Coppola lavora a un kolossal a tal punto ambizioso da risultare quasi impossibile. Ne redige lo script, su cui ritornerà più volte. Quasi una prefigurazione del crollo delle Twin Towers. Proprio l’evento dell’11 settembre 2001 renderà anacronistica la sceneggiatura di Megalopolis che, accompagnata dallo storyboard, in una provvisoria versione (212 pagine), nel 2010 viene pubblicata sul web (sul sito Internet Archive). Senza mai abbandonare la sua «idea fissa», il grande cineasta dirige altri film, accolti da fortune alterne (l’ultimo, Twixt, risale al 2011).
Nel 2007 dichiara di avere accettato di dirigere Dracula di Bram Stoker solo per mettere da parte i fondi necessari per Megalopolis. Non basta. Preso atto delle difficoltà di trovare finanziatori, Coppola decide di investire in questa sorta di Sagrada Família i proventi ottenuti dalla vendita della sua azienda vinicola.
Arriviamo così al 2023. A gennaio affiorano voci di conflitti tra Coppola e i suoi collaboratori: vengono licenziati il direttore artistico David Scott, la scenografa Beth Mickle, il responsabile degli effetti visivi Mark Russell. Superati questi dissidi, la nave salpa. Due ore e tredici minuti, la durata. 120 milioni di dollari, il budget. Significativo, il cast: Dustin Hoffman, Adam Driver, Nathalie Emmanuel, Giancarlo Esposito, Laurence Fishburne, Aubrey Plaza, Shia LaBeouf. Qualche giorno fa, a Los Angeles, la prima proiezione privata. Infine, l’annuncio della partecipazione, in concorso, al prossimo festival di Cannes (14-25 maggio). Un lieto fine, che ricorda da vicino la sorte del Don Chisciotte di Terry Gilliam.

Questo il backstage di un film il cui plot, stando alla sceneggiatura depositata su Internet Archive, appare piuttosto aggrovigliato, privo di un centro. Una narrazione fatta di sottotrame e popolata da decine di personaggi (con nomi latini). Un intreccio inestricabile, con riferimenti alla Roma imperiale. La vicenda si svolge tra la fine degli anni Novanta e il 2007. Sullo sfondo, la tragedia delle Twin Towers. Ambientata a New York nel nuovo millennio, riscrittura in chiave futurista della Congiura di Catilina, l’epica di Coppola parla della lotta tra un architetto conservatore e un’estrosa archistar progressista, forse erede del barone Georges-Eugène Haussmann, responsabile del radicale ripensamento urbanistico della Parigi ottocentesca. Mentre Cicero crede in metodi più tradizionali, Cesar (nella prima versione del soggetto si chiamava Catiline) ha in mente un piano avveniristico. Con forti appetiti sessuali e con molti talenti (ha anche il potere soprannaturale di fermare il tempo), ambiguo e misantropo, vuole costruire a New York una città dentro la città: Megalopolis, appunto. Una dream city non troppo diversa dalla metropoli descritta da Rem Koolhaas in S, M, L, XL: «Come uno studio di Hollywood, può produrre una nuova identità ogni lunedì mattina». Caratterizzata da connessioni tra elementi diversi, Megalopolis cambierà incessantemente. In essa, ci si sposterà con veicoli non inquinanti (monocar). Verrà sconfitto il bisogno del lavoro. Le uniche preoccupazioni saranno arte e sport. A opporsi a questa utopia sono il sindaco Hamilton, il quale sogna una città del gioco d’azzardo; e Claude, guida di coloro che sono stati cacciati per costruire Megalopolis.

È la fine del 2007. Mentre la vecchia New York viene devastata, Cesar è ucciso. Ma, prima di morire, riesce in un prodigio superomistico: fermare il tempo. Evidenti le fonti di ispirazione, in questa favola delirante: La fonte meravigliosa di Ayn Rand (storia di un architetto/superuomo in lotta contro la società americana) e Metropolis di Fritz Lang (visualizzazione di una città futuribile). Espliciti anche i richiami a Blade Runner e a Matrix. Inattese le assonanze con alcuni film più recenti: Southland Tales di Richard Kelly, ritratto di un mondo caotico e futuribile; Synecdoche, New York di Charlie Kaufman, dove appare una New York in miniatura, piena di morti; e Inception di Christopher Nolan, in cui si vede una città nata dal nulla e prossima a ripiegarsi su sé stessa.
Sulle orme di queste corrispondenze, Coppola si è abbandonato a un esercizio di stile lambito da ragioni autobiografiche e da intenzioni civili. Un atto d’amore per le sue radici italiane: la Roma dell’Impero. E anche un grido d’allarme per l’abisso che incombe sulle nostre vite frenetiche e distratte. È come se, a ottantacinque anni, il regista de Il padrino sia mosso dall’urgenza di interrogarsi sul destino della civiltà occidentale, stretta tra progressismo acritico e timore di un’apocalisse immanente. In sintonia con registi che hanno frequentato con originalità i territori della science fiction (come Ridley Scott, Burton, i fratelli Wachowski, Proyas, Longo, Besson e Carpenter), Coppola conduce lontano e, insieme, molto vicino. Inventa un teatro antico e, al tempo stesso, fantascientifico, fondato, però, sul costante riciclaggio di brandelli di reale. Sorretto da segrete ragioni politiche, compone una drammaturgia finta e, al tempo stesso, di bruciante attualità, per farsi profeta del transito da una città perimetrata a una metropoli che trasgredisce ogni pianificazione.
Pur consegnandosi a una potente artificiosità, Coppola pronuncia alcuni aspetti perturbanti e oscuri del presente. Animato da un’intima urgenza testimoniale, coglie emergenze urbanistiche, sociali e ambientali. Anche se si sottrae a ogni vincolo di verosimiglianza, evoca scenari che, presto, potrebbero farsi concreti. Poeta della distopia postmoderna, ci proietta verso l’avvenire in un felice intreccio tra linguaggio filmico e ambito progettuale: «È logico che sia così, data la natura “fantascientifica” della pratica architettonica, che consiste nell’immaginare il futuro tramite gli oggetti, lo spazio e la loro relazione con l’uomo», come ha ricordato Sandro Veronesi.
Forse, Megalopolis è innanzitutto questo. Un film che, con Apocalypse Now, va a comporre un dittico sulla fine della civiltà occidentale. «This is the end», cantava Jim Morrison mentre scorrevano le sequenze di Apocalypse Now.