La Lettura, 21 aprile 2024
Storia della Grande Muraglia e della cultura predatrice cinese
La definizione e amministrazione delle frontiere ha rappresentato la maggior occupazione e preoccupazione dei governanti cinesi sia in epoca pre-imperiale, sia negli oltre duemila anni del periodo imperiale. Ancor oggi la questione dei confini è oggetto di forti tensioni e diatribe tra la Repubblica popolare cinese e i suoi vicini. Le ragioni a sostegno delle rispettive pretese di sovranità chiamano spesso il passato a garanzia della loro buona fede. Ed è qui che narrazioni distorte e falsi miti entrano in gioco, nell’opera di manipolazione e indottrinamento dell’opinione pubblica e nella formazione e controllo dei nazionalismi più estremi, a giustificazione delle proprie ambizioni egemoniche.
Il mito più duro a morire, e forse il più insidioso per una corretta comprensione e conoscenza della civiltà cinese, propugna lo stereotipo di una Cina governata da sempre con saggezza e virtù da funzionari-letterati colti e competenti che davano priorità al benessere materiale e spirituale del popolo, alla stabilità economica, politica e sociale, e a promuovere politiche improntate a ideali di pace e armonia universale, realizzati grazie a un oculato uso dell’arte diplomatica e alla creazione di un efficace sistema tributario. Mitologie costantemente evocate anche dagli attuali leader a conferma e garanzia delle proprie buone intenzioni nella competizione, che potrebbe assumere caratteri di guerra, per la leadership globale. Tessere di un mosaico che intende suggerire l’immagine di una nazione moderna, responsabile e pacifica, capace di dare corpo alla grande utopia vanamente inseguita da filosofi e intellettuali in ogni epoca: creare un mondo stabile e armonioso, in cui a prevalere siano umanità e giustizia. Parole suadenti che servono a giustificare, dal punto di vista etico prima ancora che politico, l’espansione territoriale a danno dei Paesi limitrofi e l’assimilazione culturale di popolazioni non cinesi al proprio interno attraverso processi di «sinizzazione» che tanto pacifici non sono mai stati, tendenti a uniformare la storia cinese a un susseguirsi lineare di dinastie cinesi e di conquistatori stranieri «sinizzati», sminuendo così il ricco apporto di quei popoli non cinesi che sono entrati nell’orbita sinica e che in diverse occasioni nel corso della storia si sono avvicendati alla guida dell’impero, rompendo la linearità che si vorrebbe comunque postulare come elemento caratterizzante della storia cinese. Fu solo grazie alla conquista di aree vastissime non propriamente siniche che territori sconfinati alla periferia dell’impero vennero annessi manu militari nel corso dei secoli, e rivendicati dalla Repubblica popolare come cinesi.
In Cina la guerra e l’arte militare sono state da sempre il fondamento dell’azione politica di ogni governo, identificandosi spesso l’una con l’altra, nella ricerca spasmodica del miglior punto di equilibrio tra la sfera marziale (wu) e quella civile (wen), componenti contrastanti ma al tempo stesso complementari di una medesima forza, in costante tensione e periodica alternanza. Guerra più che pace, dunque, sia per quanto riguarda le popolazioni all’interno dell’ecumene cinese – caratterizzato da parametri culturali, etici e politici sostanzialmente comuni – sia nei confronti dei gruppi etnici non cinesi, considerati del tutto estranei alla civiltà cinese e, di conseguenza, ritenuti inferiori e per questo definiti «lupi e tigri»: caratterizzati cioè da una natura ferina incompatibile con la cultura umanistica cinese. In sintesi: «barbari». Ed è proprio sul complesso rapporto dialettico, rivelatosi per lo più conflittuale, tra «mondo cinese» e «mondo barbarico», sviluppatosi lungo gli sterminati confini dei principati prima, dell’impero e della repubblica in seguito, che si è sviluppato l’incontro, spesso problematico, tra gruppi etnici diversi.
L’idea di una Grande Muraglia costruita, secondo l’opinione comune, per proteggersi dalle incursioni dei nomadi delle steppe è un altro di questi miti duri a morire. Nella fase più acuta precedente alla fondazione dell’impero, il periodo degli Stati Combattenti (453-221 a.C.), quando la lotta per la supremazia divenne guerra totale, gli Stati in campo si erano ridotti a 7 dai 148 dell’VIII secolo a.C. Ognuno di essi controllava porzioni di territorio vastissime, sottratte prevalentemente ai «barbari» delle steppe: una penetrazione predatoria nei loro territori giustificata come missione civilizzatrice, in realtà motivata dalla necessità di incrementare la propria forza economica e militare in modo da poter fronteggiare la potenza degli «Stati centrali» (zhongguo). Quando nel 221 a.C. il primo imperatore dei Qin unificò il tianxia ([tutto ciò che sta] sotto il cielo), pose l’ordine sociale e la difesa dei confini come priorità assolute della politica del sovrano illuminato, il solo garante della stabilità e dell’integrità dell’impero sia in termini territoriali sia culturali, perfetta sintesi tra wu e wen. Di conseguenza, le opere difensive erette dai regni settentrionali prima dell’unificazione furono collegate tra loro, formando quelle «lunghe mura» (chang cheng) note in Occidente come Grande Muraglia. Non si trattava di una vera e propria linea strutturata di fortificazioni in mattoni quale appare ancor oggi in alcuni suoi tratti risalenti alla dinastia Ming (1368-1644), come la storiografia ufficiale ha a lungo sostenuto, ma di un susseguirsi di imponenti barriere di terra battuta, bastioni, torri di avvistamento, avamposti militari costruiti in zone molto più a nord rispetto agli insediamenti cinesi. Una «muraglia» concepita principalmente per affermare il proprio dominio sui nuovi territori conquistati o sui quali si intendeva comunque estendere la propria influenza per impadronirsi delle risorse dell’economia pastorale locale e per trasferirvi masse di coloni agricoli. E infatti a nulla servirà quando i potenti eserciti dei Khitan, dei Jurchen, dei Mongoli e dei Mancesi decideranno di invadere l’impero.
La minaccia nomade lungo le frontiere settentrionali resterà una delle questioni più complesse della storia cinese. A partire dall’umiliante sconfitta inflitta alle truppe cinesi dal fondatore del grande impero xiongnu, Modun, a Mayi, nel 200 a.C., che sancì la supremazia militare dei Xiongnu, il governo cinese fu costretto ad avviare complesse strategie diplomatiche che muteranno nel tempo e nelle forme con l’evolversi dei rapporti di forza. Queste strategie costituiscono l’elemento portante della storia delle relazioni sino-nomadi e la base paradigmatica degli sviluppi storici successivi fino alla caduta dell’ultima dinastia (Qing), di origine mancese, nel 1911.