Corriere della Sera, 26 aprile 2024
Sartori, il primato della libertà
Per i lettori del «Corriere», la figura di Giovanni Sartori resta indissolubilmente legata ai suoi brillanti editoriali, che con stile limpido e arguto spaziavano sui principali temi di attualità: dal controllo delle nascite al mutamento climatico, dal conflitto d’interessi all’immigrazione. Dopo il suo ritorno dagli Stati Uniti, le frequenti apparizioni televisive avevano reso il politologo fiorentino un personaggio pubblico. «Pensa», mi confessò una volta, «ora la gente mi riconosce per strada». Un riconoscimento certo non usuale per un uomo di studi, peraltro insignito di nove lauree honoris causa, tre life achievement awards e innumerevoli altri premi per meriti accademici.
Sartori è stato uno dei massimi scienziati politici del Novecento. Appartiene a buon diritto all’olimpo del classici grazie ai suoi fondamentali lavori sulla democrazia, l’analisi comparata della politica, la logica e il metodo delle scienze sociali. In una breve autobiografia scritta nel 1997, egli riassunse il proprio percorso come un misto di «caso, fortuna e ostinazione». Non menzionò l’elemento più importante: la sua straordinaria capacità di pensiero e ragionamento, l’arte di fare chiarezza, di attingere a saperi diversi per illuminare i problemi più complessi. Alcuni fra i suoi scritti più importanti sono stati dedicati alla formazione di concetti, classificazioni e tipologie. Per tutti i suoi allievi in Italia e nel mondo, la lezione più preziosa di Sartori è stata quella di prendere molto sul serio logica e metodo nell’analisi dei fenomeni politici e sociali.
Il retroterra disciplinare di Sartori era stato la filosofia: lesse Hegel mentre si nascondeva nella Firenze occupata dai tedeschi. Subì anche il fascino di Croce, dal quale trasse il modello del «pensare contro», l’uso della critica come punto di avvio della propria riflessione. Le sue vere passioni divennero presto la logica, intesa come scienza del ragionamento valido, e la politica, intesa come attività pratica suscettibile di studio sistematico. Per lui la scienza politica doveva essere un sapere empirico fondato su ipotesi teoriche controllate attraverso il metodo comparato. Un sapere rigoroso ma anche applicabile, capace di mettere a disposizione dei decisori politici proposizioni del tipo: «Se vuoi ottenere x, allora dovresti fare y».
Nei primi anni Sessanta Sartori divenne il primo professore ordinario di Scienza politica in Italia e nel 1971 fondò la «Rivista Italiana di Scienza Politica». Già ben inserito nei network di ricerca internazionali, nel 1976 decise di trasferirsi a Stanford e poi a New York, alla Columbia University. Tornò in Italia, al Cesare Alfieri, nel 1992, poco prima del suo pensionamento.
Oltre agli scritti metodologici, nella produzione scientifica di Sartori spiccano tre grandi libri. Il primo è Parties and Party Systems (1976, ri-edito nel 2010), nel quale l’autore ha elaborato un originale schema per l’analisi dei sistemi partitici democratici. Il caso italiano (degli anni Sessanta e Settanta) rientrava nel tipo «pluralismo polarizzato», caratterizzato da alta frammentazione, presenza di partiti antisistema e competizione elettorale centrifuga. Un sistema instabile e difficilmente governabile. La tipologia di Sartori ha avuto una vastissima eco internazionale. In Italia, il modello del pluralismo polarizzato ha soppiantato le interpretazioni precedenti basate sulla superficiale metafora del «bipartitismo imperfetto».
Con il secondo importante lavoro (Ingegneria costituzionale comparata, 1994) Sartori ha fornito un efficace esempio di scienza politica applicabile. La chiarezza con cui nel libro l’autore ha isolato le caratteristiche e gli effetti dei diversi tipi di regime politico ha dato un fondamentale contributo non solo al dibattito scientifico internazionale, ma anche alle discussioni politiche italiane sulle riforme istituzionali.
Il terzo libro fondamentale di Sartori è dedicato alla teoria democratica. La prima formulazione risale al 1957 (Democrazia e definizioni), quella più compiuta al 1987 (The Theory of Democracy Revisited). Sartori esamina la democrazia come concetto o tipo ideale, come insieme di istituzioni e pratiche del mondo reale e infine come modello prescrittivo. Il filo rosso che lega i tre piani è il rapporto fra democrazia e liberalismo. Secondo l’autore, la democrazia dei contemporanei è una «matassa a due fili». Quello liberale è il filo primigenio, il quale assegna priorità alla protezione politico-giuridica dell’individuo dallo Stato. Il filo democratico valorizza la partecipazione popolare e promuove inclusione ed eguaglianza. Il moderno Stato costituzionale è nato dal filo liberale, che si è poi intrecciato con quello democratico, nello sforzo di bilanciare fra loro l’individualità e l’ «egualità».
Per Sartori la «libertà da» aveva priorità sull’eguaglianza non solo sul piano storico, ma anche assiologico. «Nessuno sostiene che il contenuto della libertà si esaurisca nella libertà da. Ma.. è certo che se siamo “impediti” non c’è ulteriore o altra libertà positiva che possa seguire; eliminata la prima libertà della serie, il termine libertà diventa privo di significato». Parole controcorrente in un periodo in cui la sinistra sparava a zero sulla vacuità delle libertà formali, veicolo di oppressione borghese. Sartori non era conservatore, e in molti articoli sul «Corriere» mise in luce come la «libertà da» fosse un potente strumento per allargare l’autonomia individuale, ad esempio sui cosiddetti temi eticamente sensibili. E riteneva anche che un certo grado di eguaglianza fosse una condizione di libertà, purché all’interno dello Stato costituzionale. In caso contrario, la pulsione egualitaria della democrazia tende a degenerare nell’esercizio arbitrario del potere. Va osservato che Sartori era altrettanto critico nei confronti del liberismo. L’associazione operata dagli illuministi scozzesi fra la forma politica liberale e il laissez faire era da lui considerata una «disgrazia». È vero che l’appetito del demos per la sicurezza economica garantita dallo Stato può divorare la componente liberale della democrazia. Ma «il gretto utilitarismo e il semplicistico edonismo» possono essere altrettanto nocivi.
È quasi superfluo sottolineare tutta l’attualità di queste riflessioni a fronte di molti sviluppi oggi in corso. Quella che in molti chiamano recessione democratica è in realtà uno strisciante distacco della democrazia dai suoi fondamenti liberali, accompagnato, per giunta, da crescenti diseguaglianze. Negli anni Settanta, Sartori esortava a pretendere contemporaneamente più democrazia e più liberalismo. La ricetta resta più che mai valida. Ma oggi la priorità è tornata ad essere la difesa dei diritti civili e delle garanzie costituzionali: insomma, del liberalismo come teoria e tecnica della libertà individuale.