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 2024  aprile 25 Giovedì calendario

Le belle parole e l’Italia stregata

Si parla molto, in queste settimane, del Premio Strega, e anche a me hanno chiesto cosa ne penso, e io faccio fatica a rispondere perché ho un rapporto un po’ strano, con l’attualità. Nel senso che io, nella mia testa, ci son delle storie che son dei decenni che girano e son sempre quelle, penso e dico sempre più o meno le stesse le cose, e faccio un lavoro che, devo confessare, mi piace molto, e nei periodi in cui sto lavorando molto, nei periodi in cui ho la testa dentro un romanzo, o dentro una traduzione, le cose che succedon nel mondo, le cose di cui si parla, mi toccano relativamente, di solito.
L’ultima volta che è morto un papa in carica, per esempio, il papa polacco, io, di questa morte del papa, e del successivo convegno di cardinali per eleggerne un altro, l’avevo saputo per via del fatto che nel bar dove andavo a far colazione, sotto casa mia, a Bologna (Enoteca Italiana), eran diventati tutti dei vaticanisti. Un bar che fino a pochi giorni prima era frequentato da bancari, studenti, pensionati, commercialisti, idraulici, sarti, professori di ginnastica, tabaccai, ortopedici, musicisti, impiegati comunali, bidelli, avvocati, fisioterapisti, garagisti e bibliotecari, tutto d’un tratto era diventato il bar dei vaticanisti. E discutevano tra loro, e si dividevano in fazioni, e c’era chi assicurava che il giorno successivo tutto sarebbe finito, e chi diceva che no, che per altri tre giorni niente fumata bianca, e facevano anche le facce come se richiamassero alla memoria i loro studi passati e a me, che stavo scrivendo un romanzo ambientato a Pietroburgo nel 1912, facevano un po’ ridere, devo dire, e io, probabilmente, avrei fatto ridere loro, se mi avessero chiesto cosa pensavo e io glielo avessi detto.
Dopo, nel gennaio del 2009, compiva gli anni mio fratello Emilio, mi son trovato a Parma a cena con i miei due fratelli e mia mamma. Era il periodo della crisi dell’Alitalia, e la prima mezz’ora che siam stati a tavola mio fratello Giulio, mio fratello Emilio e mia mamma hanno parlato solo di trasporti aerei, e ne han parlato come se fossero degli esperti. Io a un certo punto ho guardato mia mamma e le ho detto “Mamma, tu non hai mai volato in vita tua, cos’è successo, hai fatto un corso?”.
Da un paio d’anni sto portando in giro uno spettacolo teatrale, prodotto dal Teatro Due di Parma (saremo al Teatro Parenti di Milano domenica 28 e lunedì 29 aprile), che raccoglie alcune delle storie che girano nella mia testa (come quella dei vaticanisti e della crisi dell’Alitalia), e la mia risposta alla domanda “Cosa pensi del Premio Strega?” è in una di quelle storie lì, che ha a che fare con una cosa che è successa dodici o tredici anni fa.
Dodici o tredici anni fa c’era un gruppo di scrittori italiani tra i trenta e i quarant’anni che si lamentavano che non avevano potere, non avevano posti di rilievo, e hanno fatto un’associazione che si chiamava TQ, che significava, appunto Trenta-Quarantenni (una gran fantasia, bisogna dire), che volevano fare delle riunioni per capire come fare per incidere sulla realtà, volevano incidere sulla realtà.
Io, avevo allora 48 anni, non mi hanno invitato. Ci son rimasto malissimo. Perché mi hanno tolto l’opportunità di dirgli di no; non ci sarei andato, ma mi dovevano invitare, ero anch’io un quarantenne, in un certo senso, avevo 48 anni, non mi hanno invitato. Ci son rimasto malissimo.
Ecco, il Premio Strega, io non sono amico della domenica, che sono quelli che possono votare al Premio Strega, non credo che mi chiederanno mai di diventarlo ma se me lo chiedessero sarei contento perché potrei dirgli di no. Il fatto che non me l’abbiano chiesto, però, non mi ha fatto rimanere malissimo perché mi sembra normale, che non me lo chiedano. Ho l’impressione di avere poco a che fare, col Premio Strega, meno ancora del pochissimo che avevo a che fare con i TQ.
Perché per incidere sulla realtà, io sono di Parma, e mi piace così tanto, essere di Parma, e ci son tante cose, che mi piacciono di Parma, e tra queste il fatto che poco più di cento anni fa, nel 1922, Parma è stata l’unica città italiana che ha resistito, con successo, ai fascisti; i fascisti, guidati da Italo Balbo, avevano provato a conquistare Parma, e quando dovevano entrare nell’oltretorrente, il quartiere popolare di Parma, avevano provato a passare il ponte sul torrente Parma, ma erano stati respinti dalle barricate degli arditi del popolo, guidati da Guido Picelli.
E più di dieci anni dopo, quando ormai anche Parma aveva ceduto al fascismo, e dopo che Balbo era diventato famoso per una trasvolata oceanica su un aeroplano, e in un’occasione che Balbo era tornato a Parma per fare un discorso o non so cosa, su un muro del lungoparma, visibilissima per tutti, era comparsa una grande scritta fatta con della vernice bianca che c’era scritto: Balbo, t’è pasé l’Atlantic mo miga la Pärma, “Balbo, hai passato l’Atlantico ma mica la Parma”. Chissà se quello lì, quello che aveva fatto quella scritta, il giorno prima di farla si era riunito con i suoi amici di Parma, avevano fatto un’assemblea che si erano detti “Siam tagliati fuori, i giornali non ci chiamano a collaborare con loro, son tutti fascisti, noi vogliamo incidere sulla realtà come facciamo?”.
Allora si era alzato uno aveva detto “Sai cosa facciamo? Scriviamo sui muri”.
E quello secondo me è un bel modo, di incidere sulla realtà.
Uno scrittore russo che mi piace molto, Daniil Charms, ha scritto una volta, “Voglio che le parole che scrivo siano come pietre, che se le butti contro la finestra si spacchi la finestra”. Ecco, quella frase lì, Balbo, t’è pasé l’Altantic mo miga la Pärma, ha un discreto valore contundente, secondo me, e mi sembra abbia a che fare con quel che ha risposto Iosif Brodskij quando gli han chiesto “Qual è il ruolo dell’intellettuale?” “Scrivere delle cose belle”, ha risposto Brodskij.