la Repubblica, 25 aprile 2024
Intervista a Dargen D’Amico
Ha appena conquistato un Disco di platino con Onda alta,il brano presentato all’ultimo Sanremo che ha sollevato polemiche e affronta un tema d’attualità come quello dei migranti. È stato contestato per un messaggio in cui invocava la pace lanciato dal palco dell’Ariston, è stato interrotto da Mara Venier mentre parlava di migranti durante la puntata post-festival diDomenica in.Dargen D’Amico, classe 1980, sarà tra gli ospiti del Concertone del Primo maggio a Roma, al Circo Massimo: la sua è una delle presenze più attese in una manifestazione che ogni anno assume un significato più profondo.Quest’anno lo slogan del Concertone è “Costruiamo insieme un’Europa di pace, lavoro e giustizia sociale”. Che significato ha la manifestazione in questo momento storico? Il tema del lavoro, soprattutto, è sempre più centrale.«Forse descrive la proiezione immaginifica per il futuro del nostro Paese, qualcosa di lontano dall’immagine che abbiamo ora della nostra realtà, ha a che fare col metafisico. Ben venga la voglia di proiettarsi in un futuro diverso da quello che vediamo».Ci si augura un evento senza censure. Lei, in un certo senso, tra Sanremo e “Domenica in”, è stato un anticipatore degli eventi di questi ultimi giorni, culminati nel caso Scurati. Che idea si è fatto?«Non riesco a pensarlo come un problema serio. Mi spiego: i termini e i contesti in cui si sviluppano certi incidenti sembrano sempre improvvisati. Serio è il fatto che queste cose toccheranno le vite di tante persone che lavorano in Rai. Il problema è la debolezza che cominciano ad avere i canali nazionali, mi dispiace vedere la perdita di competitività dell’azienda di Stato. Ci manca forse la chiarezza delle intenzioni sul perché certi messaggi vengano oscurati, spenti: il tentativo di soffocarli ottiene l’effetto opposto. Sono azioni goffe. Su Scurati si parla di un problema economico, ma non capisco la motivazione effettiva, mancano serietà e trasparenza. Mi preoccupa lo stato dell’arte della Rai, ha rappresentato l’anello di congiunzione tra monarchia e Repubblica con tutto quello che comporta. Sono tre reti che possono avere significati importanti per il Paese, vederle intrappolate in paludi così viscide mi preoccupa molto».A Sanremo aveva detto: “Cessate il fuoco. La Storia e Dio non accettano la scena muta”.«Penso che poco sia cambiato. Il silenzio resta legato a interessi economici e strategici ancora dadichiarare. Vige la regola dell’amico più forte, noi stiamo all’ombra del più forte ed è difficile prendere un’iniziativa che comporti dei rischi».È un caso che il suo nuovo tour parta il 25 aprile? Come vive lei questa ricorrenza?«In parte è un caso, ma c’era l’occasione di aprire la nuova fase di feste live partendo dall’origine di qualsiasi festa repubblicana. La causalità, in questo senso, non esiste. È difficile proiettarsi nel futuro se si perde la cognizione dell’origine».Temi più leggeri: sul palco al Circo Massimo ci sarà anche Morgan. A X Factor c’è stata parecchia tensione...«Non sapevo ci fosse anche lui. Ho ascoltato molto i suoi dischi solisti, avevamo parlato in passato delle nostre opere, c’era grande stima. Sul tema televisivo non ero così smaliziato, su come si fa la tv avrei solo da imparare da lui».A un certo punto, ha confessato, aveva pensato di smettere.«Negli ultimi dieci anni ci sono stati sommovimenti nel mondo della musica con scosse produttive e di ascolto. Il mio progetto apparteneva a un’epoca diversa, c’era meno attenzione all’iconicità e alla promozione. Si stava restringendo la possibilità di sopravvivenza.Complice lo stop della pandemia mi sono sentito in grado di riprendere».L’ultima edizione di X Factor è stata complicata: più che dei ragazzi in gara si è parlato delle liti tra i giudici. Cosa le resta di questa esperienza?«Il fatto di essere responsabile, coautore del destino dei ragazzi era il motore principale. Più che giudice sei accompagnatore, sostenitore, produttore dei progetti. La responsabilità è indispensabile.Sento il dovere di essere lucido, presente, affettuoso. Conoscevo le persone, le loro vite: mi resta tantissimo dei rapporti personali. Poi, certo, il programma è una macchina, la produzione è molto ricca. Non so se lo rifarò, non ho pregiudizi».Ha una carriera lunga, ha assistito a tanti cambiamenti nel mondo della musica. Come si trova in questa fase di produzioni convulse e piattaforme?«C’è un forte incremento di proposte, ogni venerdì deve uscire qualcosa, diventa una pesca miracolosa, si scatena una bulimia di stimoli musicali. Però siamo all’alba di una nuova era di IA, cerchiamo di capire cosa accadrà, c’è tanta produttività ma non è chiaro quello che si produce. Sarà difficile non andare in quella direzione. Possiamo illuderci di governare la tecnologia, ma tanto prenderà sempre la strada peggiore»