Corriere della Sera, 25 aprile 2024
Iran, il rapper condannato a morte «Corrompe i cuori dei giovani»
«Non hai notato con quanta crudeltà le tue guardie picchiano le donne?/ Forse sei terrorizzato dalle madri iraniane/Sono gli dei che creano persone come me/Tu sei il nemico dell’umanità e io sono il tuo nemico».
Questa è Faal, che in italiano possiamo tradurre come leggere il destino. È una delle ultime canzoni scritte da Toomaj Salehi, rapper iraniano, poeta della generazione Z, che è stato condannato a morte dal tribunale rivoluzionario di Isfahan per «corruzione sulla Terra». Secondo la Repubblica islamica, Toomaj corrompe, influenza, infiamma i cuori dei giovani rivoluzionari d’Iran che dal 2022, da dopo l’uccisione di Mahsa Amini, lottano per far crollare per sempre la dittatura degli ayatollah. Nelle cuffiette delle ragazze senza velo di Teheran – ma anche di Mashhad, di Isfahan – passano parole come «Il loro crimine è danzare con i capelli al vento/Il coraggio è stato il loro crimine/il coraggio di denunciare i vostri 44 anni di governo». Le prigioni del regime, la sua violenza, non hanno mai messo a tacere l’artista-eroe che spaventa i dittatori a colpi di rime e che per questo esce ed entra dal carcere.
Nel 2021 era stato arrestato per i testi delle sue canzoni. Nel 2022, perché ha partecipato alle proteste antigovernative per Mahsa Amini. Nel luglio 2023 è stato condannato a sei anni e tre mesi di prigione, salvato in extremis da una sentenza di morte «grazie» alla Corte suprema. Ma a gennaio il tribunale rivoluzionario ha aggiunto alla piramide di accuse altre accuse. Parlando con il quotidiano Sharq, il suo avvocato ha raccontato che alla fine hanno ignorato il verdetto di clemenza e in queste ultime ore la scelta è stata la «soluzione più dura». Hanno venti giorni per appellarsi. I giudici lo ritengono colpevole di una lista infinita di cose, tra cui corruzione sulla Terra, sedizione, propaganda contro il sistema, incitamento alle rivolte. Toomaj fa paura. Parla una lingua, il rap, che gli ayatollah non solo non capiscono, ma temono. Ha milioni di follower che le sue rime le cantano a memoria e che da tutto il mondo supportano il suo coraggio. Toomaj ha 33 anni e viene da un villaggio della provincia del Khuzestan, da una famiglia di dissidenti che avevano già conosciuto il carcere. Non pensava che sarebbe diventato la voce guida della rivoluzione Donna, Vita, Libertà quando, nel 2017, ha iniziato a caricare video su YouTube in cui guarda in camera, negli occhi di Ali Khamenei e dei suoi, sfidandoli con poesie ritmate che sono diventate inni di resistenza.
I versi in musica
«Il loro crimine è danzare senza velo e denunciare i vostri 44 anni di governo»
Per capire chi è Toomaj basta tornare all’autunno 2022. Erano passate poche settimane dall’uccisione di Mahsa Amini, lui sapeva che gli stavano dando la caccia, ma ha comunque rilasciato un’intervista al canale canadese Cbs definendo il regime «una mafia pronta a uccidere l’intera nazione per mantenere il suo potere». O basta tornare al 2023, quando, appena uscito dal carcere su cauzione, ha postato un video in cui ha raccontato le torture subite.
«È il nostro eroe», commenta l’amico regista Ashkan Khatibi che gli dedica lo spettacolo Le mie tre sorelle in scena al Teatro Franco Parenti di Milano. «È rimasto in Iran opponendosi al regime con la sua musica rap. Condannarlo a morte è una mossa strana, ci fa pensare che gli ayatollah abbiano stretto un accordo internazionale e si sentano sicuri nel prendere una strada così dura».
Molti dissidenti pensano sia l’ennesimo bluff della Repubblica islamica, in crisi su tutti i fronti: fuori con Israele, dentro con il popolo che gli lotta e gli canta contro.