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 2024  aprile 23 Martedì calendario

Intervista a Max Mariola


Lo chef Max Mariola racconta il suo ristorante a Milano, la sua carriera, la sua famiglia. «Mia moglie è il mio grillo parlante: è lei che sa come girare, montare e postare i video. Mio figlio non ha mai mangiato una merendina»
max mariola chef
Max Mariola da grande voleva fare il cuoco. E ci è riuscito. Poi, dopo anni passati ai fornelli, lavorando per Gambero Rosso Channel ha capito di stare simpatico alla videocamera: intuizione preziosa. Oggi ha 9 milioni di seguaci tra TikTok, Instagram, Facebook e YouTube, stregati dal tormentone «the sound of love» (cioè il suono della pasta quando viene mantecata: «Erotico, come molte cose in cucina»). Oggi guadagna (anche) grazie ai social, scegliendo con cura i brand da promuovere («Se sono credibile è perché non ho mai tradito la gente», rivendica). Ma resta, in primis, un cuoco: nel 2024 ha aperto un ristorante che porta il suo nome. Non nella sua amata Roma, però, ma a Milano, zona Brera. E se online c’è chi critica prezzi (per alcuni alti) o arredi (c’è chi lamenta: «Mancano le tovaglie»), lui sceglie di concentrarsi su chi, nel suo locale, è già stato più volte: «Se i clienti tornano, la direzione è giusta. Ma non mi sento arrivato: punto sempre a migliorare».
Che lavoro sognava?
«Già a 14 anni volevo fare il cuoco. Ma mio padre, dopo le medie, mi ha costretto a seguire le sue orme. E così ho lavorato per anni nella nostra azienda, una bottega storica di restaurazione di oggetti in metallo prezioso. Poi, quando avevo 22 anni, mio padre è mancato all’improvviso: un dolore enorme che mi ha spinto a cambiare vita».
Primo lavoro nel settore?
«Pulivo una cucina. Gratis. Non avevo fatto l’alberghiero, volevo recuperare: delle persone stupende mi hanno insegnato molto, senza stipendio però. Non è stato facile: papà non ci aveva lasciato debiti, ma neanche soldi. Però penso sia stato importante iniziare dal basso: per gestire una cucina devi conoscerla. E solo chi sa ubbidire sa anche comandare. Poi ho frequentato una scuola privata di cucina. A quel punto avevo uno stipendio, me la sono pagata così: di sera facevo il turno al ristorante, di giorno i corsi».

Sa stare davanti alla telecamera. Quando l’ha capito?
«Quando me l’hanno detto gli altri! Nel 1999 una docente della scuola di cucina mi chiama e mi dice: stiamo facendo un canale televisivo di food, ti va di farmi da assistente? All’inizio stavo solo dietro le quinte, poi ho iniziato a fare delle rubriche mie. Ho fatto tv per 22 anni: sono tanti».
Perché buttarsi sui social?
«Mia moglie, che è una donna razionalissima, aveva capito che la tv più di tanto non mi poteva dare. Perciò nel 2018 abbiamo iniziato a fare video, girati da lei, per Facebook e YouTube: abbiamo avuto successo e ci siamo buttati. Poi nel 2022 c’è stato un tracollo di visualizzazioni sui video orizzontali: tutto si era spostato sul verticale. E lì ho detto: che faccio? Vado su TikTok? Temevo di essere fuori luogo, con i capelli bianchi. Invece la mia conoscenza della cucina e il mio linguaggio hanno funzionato».
Ora è una star. Sui social ha ricevuto proposte strane?
«Qualcuna. Una volta mi hanno chiesto di andare a cucinare su un’isola privata turca raggiungibile solo in elicottero o in barca».
Sua moglie non si mostra mai. Cosa può dirci di lei?
«Ha dieci anni meno di me. È laureata con lode in Management e a differenza mia ama studiare e lo fa di continuo. Per dire, pur essendo straniera ha preso la licenza di guida turistica di Roma: ha studiato tutta la storia della città in una lingua che non è neanche la sua! È lei che sa come riprendere, montare e postare i video».
Vostro figlio compare spesso sui suoi social. Una scelta, questa, che divide.
 «Lo mostriamo perché pensiamo a un mondo pulito, buono. Ma anche per far capire con che cibo lo abbiamo tirato su: verdure, carne, zero bevande zuccherate. Non conosce le merendine: in casa nostra lo zucchero non c’è proprio».
Ha più di 30 anni di esperienza nel mondo della cucina. Come vede il futuro?
«L’Italia dovrebbe puntare a diventare l’alta moda del cibo: mantenere le produzioni e le quantità attuali, ma alzando i prezzi. Come fa Hermès, che infatti ha la lista d’attesa per le Birkin: aumenta i prezzi, non la tiratura».
Ma così i prezzi aumentano anche per la gente comune.
«La gente comune deve capire che non si deve comprare per forza il salmone, va bene lo sgombro. E non bisogna comprare gli asparagi a dicembre, ma il broccolo. A Natale trovi le ciliegie del Cile: costano chissà quanto e non sono sostenibili! A chi le compra, e magari ha pure la borsa della spesa ecologica, vorrei dare le botte sulle mani».
Come è nata l’idea di aprire un suo ristorante a Milano?
«Io ho smesso di lavorare in una cucina nel 2017: facevo eventi, consulenze, i social... E vivevo bene: stavo a casa, facevo le mie ricette e mi godevo mio figlio. Ma mia moglie, il grillo parlante, ripeteva: non sei un cuoco se non hai un ristorante! Ho scelto Milano perché chiunque qui lavora meglio. Romano, sardo, pugliese, non importa: a casa sua lavora in un modo, a Milano ancora meglio. E poi perché questa città dà molte possibilità a chi ha voglia di fare: è un po’ la nostra Silicon Valley. Ci sono teste meravigliose, gente che fa cose pazzesche e non ha la puzza sotto il naso. Roma è la città più bella del mondo, e mi manca, però qui c’è un’aria particolare: io la definisco “acqua gassata”».
Sogna di essere segnalato dalle guide gastronomiche?
«Non penso di essere interessante per loro: la mia cucina è così semplice... E poi il mio è un locale insolito: serviamo il carciofo alla giudia in un contesto in cui c’è la musica, non in una trattoria con la tovaglia a quadrucci».
Quando nel suo ristorante le persone si mettono a scattare foto per i social, anziché godersi i piatti, cosa pensa?
«Che magari mi seguono da anni: è giusto che facciano una foto ricordo. Sa quanti mi scrivevano per chiedermi di venire a mangiare da me? Ora finalmente ci possiamo abbracciare. È anche un modo per ringraziarli: senza di loro non sono nessuno».
Cercandola su Google, esce la domanda: «Quanto costa il suo ristorante?»
«La mia carbonara costa 28 euro, ma è fatta al tavolo: non è solo un piatto, è uno show. La spesa media è di 60 euro a testa, bevande incluse. In zona è un prezzo basso: bisogna pensare a quanto costano qui un cameriere, l’affitto...».
Oggi qual è la sua fonte di reddito principale?
«Gli eventi. Ho scritto anche un libro ma è la cosa che mi ha fruttato di meno: l’ho fatto perché è una soddisfazione. Sui social si può guadagnare tanto, ma ci si può anche smerdare. Dipende dall’ingordigia. Io non sono ingordo: nel 2018 ho rifiutato 38mila euro per tre video e quattro foto, perché avrei dovuto promuovere una pancetta a dadini in vaschetta. Allora quei soldi non li facevo manco in un anno di lavoro, ma ho detto a mia moglie: la mia strada è un’altra. Meglio guadagnare meno ma promuovere prodotti in cui credo».
E il ristorante?
«Per ora è un investimento. Se saremo bravi, in un anno copriremo il costo del finanziamento per la costruzione, senza guadagnarci una lira».
Prossimo step?
«Un’accademia di cucina online».