il Fatto Quotidiano, 23 aprile 2024
Intervista a Vasco Brondi
“Lassù non si arrivava con la macchina. Ci siamo arrampicati come sherpa, con strumenti e attrezzature. Uno sbattimento, ma le canzoni sono fatte dell’aria che le attraversa”.
A 2500 metri, Vasco Brondi.
Abbiamo creato uno studio nel rifugio costruito da Paolo Cognetti, dietro Bresson, in Val d’Aosta. Lo scenario de Le Otto montagne.
Lì avete registrato buona parte dell’album Un segno di vita. Compresa una cosa intitolata Vista mare.
Che avevo composto sull’isola delle Canarie dove trascorro alcuni mesi l’anno. Ho portato l’oceano nei boschi. Le onde in alta quota.
Il suo tour è partito sold out, e dopo un paio di concerti rinviati per raucedini varie, giovedì è atteso a Carpi dall’evento Costellazione 25 aprile. Lei ne è direttore artistico.
Questa Costellazione 25 aprile che mi sono immaginato è luminosa e splendente dal 1945. Quando il Comune di Carpi mi ha chiesto di immaginare qualcosa di speciale per questa giornata ho subito pensato a questo concerto corale e ho voluto coinvolgere altri musicisti, cantanti, scrittori, scrittrici. Visti dall’alto saremo dei punti luminosi e unendoci, sopra e sotto al palco, creeremo una costellazione.
Ci saranno Cognetti, Francesca Michielin, Brunori Sas, Massimo Zamboni, Silvia Ballestra. E Nada, ospite pure nel suo disco in Fuoco dentro.
Ascoltavo Nada sin da ragazzino. Finché non mi sono ritrovato una sera a cantare con lei e Zamboni Emilia paranoica. Ho scritto Fuoco dentro pensando a lei, ma ci ho messo mesi per mandarglielo. Nada mi ha risposto che si vedeva totalmente nella donna ritratta. È una creatura trasparente, e parla dritto.
Un segno di vita è il secondo album firmato Vasco Brondi. Ha messo in soffitta il vecchio alias Le Luci Della Centrale Elettrica.
Voglio arrivare al nucleo incandescente della terra e di me stesso. Spogliando le canzoni, togliendo uno strato per volta, aprendo varchi, usando parole semplici. Faccio un disco ogni tre anni: qualcuno pensa sia da sfigati metterci questa cura, però non saprei fare diversamente.
L’industria musicale copia-e-incolla sta facendo crac.
Il sistema si è incagliato rovinosamente sul dato numerico, gli streaming, i follower. Io continuo a pensare che anche quando le hit di intrattenimento esprimono una sorta di attualità, debbano includere una scintilla di eternità. Qualcosa che resti, pur essendo figlia della natura pop del proprio tempo.
Creare con lentezza.
Calcutta ci mette cinque anni. Dobbiamo smetterla di essere scontenti per quello che non abbiamo. Rovesciamo la frase di De André. Rivendichiamo il tempo per capire cosa esprimere, senza infilarci nella corsa insensata dell’ambizione. Come sottolineava il filosofo Fischer, ci estingueremo per star dentro il turbocapitalismo.
Parafrasando il titolo di un suo libro, ‘cosa racconteremo di questi cazzo di anni Venti’?
Siamo in una transizione, dunque la situazione, direbbero Mao e i Cccp, è eccellente. Ho assistito a un incontro con Luciana Castellina, che alla sua età si dice ottimista: sostiene che le rivoluzioni si inneschino in periodi in cui non vi sia alternativa, e che dunque l’occasione sia perfetta.
Una sua parente, Maria Rita Brondi, divenne famosa agli inizi del ’900 come cantante e chitarrista. Dovrebbe rielaborarne il repertorio in chiave punk.
È un’idea. Andrò a ristudiare le sue trascrizioni.
Lei è un sognatore padano. Ha mai visto miraggi lungo il Po?
Sempre, nelle mie passeggiate sul fiume. E di notte, rincasando nel centro di Ferrara. I vicoli non illuminati mi catapultano nel Medioevo. Il giovane Antonioni, quando c’era nebbia, correva in piazza e diceva: poiché non si vede niente posso sentirmi da qualunque altra parte. Zavattini aggiungeva: la vera malinconia la provi sugli argini del Po. Altrove è solo imitazione.