il Fatto Quotidiano, 21 aprile 2024
Intervista a Lilli Gruber
L’ultimo libro di Lilli Gruber è una sorprendente inchiesta – piena di interviste, riflessioni, statistiche – sul mondo del porno, per titolo ha uno slogan parecchio efficace: “Non farti fottere”. La signora di Otto e mezzo ha scritto romanzi e saggi, si è occupata di politica estera, di guerre, di piccole e grandi patrie – il suo Alto Adige e l’America – e molto delle donne. La pornografia è una scelta inaspettata, o forse no perché “non è un problema morale. È un problema sociale e civile. Va affrontato e la prima necessità è parlarne”. E allora parliamone, cominciando dalla più ovvia delle domande.
La pornografia esiste da sempre: perché ora è un’emergenza?
Perché size matters: le misure contano. Non solo quelle degli attori e delle attrici porno, anche quelle del mercato. La pornografia esiste da sempre ma non aveva mai raggiunto queste dimensioni economiche e sociali. Non è più una faccenda per adulti consenzienti e paganti, ma un oceano di contenuti gratuiti e accessibili in cui navigano giovani e giovanissimi, che ne sono sedotti e influenzati. Questo sta cambiando, in peggio, il modo in cui la nostra intera società vive il sesso, le relazioni, i ruoli di genere. Forse siamo già oltre il punto di non ritorno, eppure si continua a non parlarne.
Scrivi che hai visto il primo film porno a 16 anni, a Londra ma che “quel tipo di pellicole e quel modello di fruizione sono lontani anni luce da quelli di oggi”. In che modo?
C’erano, appunto, i cinema porno, che richiedevano di essere maggiorenni e di pagare un biglietto. E trasmettevano film realizzati dalle stesse case di produzione di quelli mainstream. Non dico che avessero trame appassionanti, ma erano prodotti “artigianali” in cui si profondevano soldi e professionalità. Oggi i “cinema”, grazie al cellulare, ce li portiamo in tasca: sono i grandi aggregatori, con milioni di video di circa dieci minuti, standardizzati, prodotti in catene di montaggio di corpi intercambiabili.
Dici “troppo porno, e troppo presto”: la pornografia non è un’educazione sessuale e per paradosso allontana i ragazzi dalla scoperta del corpo e dell’altro. Sei d’accordo?
È la peggior forma di diseducazione sessuale. Brevi video di sesso con performance e misure estreme, e un unico focus, la penetrazione. Chi conosce bene il proprio corpo e il piacere sa come orientarsi. Ma in adolescenza, l’età della confusione e dei dubbi su di sé? In un sondaggio americano, il 27% dei giovani intervistati era convinto che il porno fosse “una rappresentazione realistica del modo in cui fanno sesso la maggior parte delle persone”. Qualcuno deve spiegare loro che penetrazioni multiple in una posizione che andrebbe bene per una contorsionista non sono la via dell’estasi per una donna. Ma non sarà il porno a farlo.
Il porno oggi è accessibile a tutti online. E qui sta il problema: non si può o non si vuole regolamentare, in favore delle grandi aziende che gestiscono questo business? Che si fa, si torna alla censura?
È difficilissimo regolamentare le multinazionali della rete, e le piattaforme hard non fanno eccezione. I tentativi fatti, anche solo per introdurre la verifica obbligatoria dell’età per i siti porno, finora hanno avuto poco successo e la misura che potrebbe essere decisiva, la fine della gratuità, richiederebbe un enorme sforzo legislativo internazionale. Ma la soluzione non è censurare il porno, è parlarne molto di più. Dobbiamo ricordare ai giovani che è fiction, spiegare come funziona il sesso, e quali sono le sue distorsioni sociali ed economiche. I giovani non sono stupidi ma sono disinformati, per colpa del nostro silenzio: dalle istituzioni fino ai media.
L’iconografia della gang-bang normalizza lo stupro?
Temo di sì. Certo non è l’unica responsabile delle violenze, ma di fatto “gang bang” è una delle categorie più richieste sulle piattaforme e anche una delle forme che ricorrono nei casi di stupro.
E poi le donne. Se dici che sono l’oggetto ti rispondono che no, oggi sono soggetti della pornografia – anche loro frequentano il mondo dell’hard, le attrici rivendicano con fierezza la loro scelta, e ci sono case di produzione hard femminili. Cosa ne pensi?
Rivendicano la propria scelta quelle che “ce l’hanno fatta” (o pensano di avercela fatta) ma la verità è che oggi la “carriera” di attrice pornografica è perlopiù avvilente e brevissima. Pochi anni o addirittura pochi mesi in cui vieni usata, abusata e gettata, e dopo? Non a caso Roberta Gemma, una delle nostre più grandi star del porno, sulla scena da vent’anni, mi ha detto che se dovesse cominciare oggi non farebbe la stessa scelta. Altra cosa è il porno femminista, un’esperienza politicamente significativa, ma è una nicchia. La narrazione secondo cui una donna si può emancipare e realizzare grazie al porno è solo uno specchietto per le allodole, usato da colossi della produzione che hanno bisogno di attirare carne fresca.
Alla fine, ringraziando tuo marito Jacques “l’insostituibile” scrivi che “con questo libro ci siamo anche molto divertiti”. Invece c’è stato qualcosa o qualcuno, mentre conducevi l’inchiesta, che ti ha messa in imbarazzo oppure fatta arrabbiare?
Mi fa arrabbiare l’impunità che il nostro silenzio garantisce a chi sfrutta, stupra e delinque in questo settore. E l’abuso dei nostri dati personali, raccolti e venduti grazie alla quantità di informazioni che riveliamo accedendo ai siti porno. Non è per pudore e scrupolo morale che non si parla chiaramente di questi temi: è per acquiescenza a un enorme e iniquo sistema di potere. E spero che grazie a questo libro siano in molti, ad arrabbiarsi.
Le ragazze oggi hanno un rapporto molto liberato con il corpo, e questo è un bene. Ma l’esito delle battaglie per liberare il corpo delle donne è posare nude sui social?
Ognuna fa quello che vuole, ma credo che non tutte sappiano quel che fanno. Sento molte ragazze descriversi come “soggetti sessuali”, libere di esibirsi. Ma una volta che la tua foto nuda o il tuo video hard è in rete, diventa un oggetto, e non puoi farci niente. Finisce su un aggregatore, gradito dono per il proprietario miliardario. Le stesse ragazze non andrebbero a friggere gratis patatine da McDonald’s: perché allora forniscono gratis il proprio culo a Pornhub? Semplice: perché sono vittime di una strategia di distrazione di massa per cui ci viene presentato come cool, o sexy, fare quello che conviene ai colossi del mercato. Bisogna suonare la sveglia: nude e col prosciutto sugli occhi, ragazze, non è una buona posizione per affrontare il mondo.