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 2024  aprile 21 Domenica calendario

Intervista a Miranda Martino

C’è ancora, sempre domani. “Può scrivere che il mio sogno è partecipare a Ballando con le stelle dalla Carlucci?”.
Va bene.
“Non voglio andare in gara, non potrei. Mi basta una puntata”.
Miranda Martino conosce i sogni e ancor meglio le stelle; conosce le note alte della vita, quanto le illusioni, il dolore, i lati oscuri degli uomini, gli spifferi, il venticello della calunnia che diventa tempesta (“la mia carriera è stata massacrata per alcune foto intime rubate mentre ero incosciente. Lui era un maestro d’orchestra che lavorava in Rca”); conosce il successo, l’ebbrezza del palcoscenico, la Roma dove tutto era semplice e fatuo, quando l’età dell’innocenza all’improvviso rischiava di tramutarsi in colpa (“ero sola, per certi versi ingenua. E mi hanno fregata”).
Per lei Delitto e castigo è un orizzonte letterario, sociale e personale. (“Per questo ho chiamato mio figlio Fëdor”).
Suo figlio come ha vissuto la sua carriera?
È una domanda molto difficile; già nella pancia è stato travolto dalla mia vita, dai riflettori, dal clamore e dalle conseguenze, pure giudiziarie. Per questo decisi di partorire a Londra.
Sembra una fuga.
Una necessità: eravamo nel 1970 ed erano già molti anni che combattevo con una serie assurda di situazioni complicate quanto dolorose; nel caso possiamo parlarne dopo?
È arrivata a Roma a metà degli anni 50.
Grazie a mia sorella: fu lei a spronarmi a partecipare al concorso “Voci nuove per Sanremo”. Io non ci avrei neanche pensato, non credevo di essere adatta. Eravamo seimila pretendenti per 15 posti.
Alla faccia della selezione.
All’improvviso mi ritrovai selezionata, con destinazione Torino e 60 mila lire in tasca: a 22 anni per la prima volta ero sola, apprezzata e libera di ballare, uscire, tornare a casa senza alcun obbligo. Potevo flirtare. Insomma, un sogno.
Però professionista.
(Sorride) Non molto, non riuscivo a prendere sul serio la professione: passai tre mesi di divertimento e ridevo delle mie colleghe, tutte serie, preoccupate, sempre pronte a studiare. Ricordo Marisa Del Frate, per me bravissima, che quando venne scartata scese di corsa lo scalone della Rai e tentò di buttarsi dalla finestra.
I suoi genitori cosa pensavano della carriera da cantante?
Mia madre quando andava al mercato e le chiedevano se Miranda Martino fosse sua figlia, rispondeva scocciata: “Non la conosco, chi è?”.
E suo padre?
Peggio.
Era molto famosa, ricca.
Nel 1957 sono entrata in Rca con un contratto di dieci anni. Lì ho trovato il gotha, il massimo dell’epoca, con artisti straordinari e giovani come Ennio Morricone e Gino Paoli.
Rispetto a Gino Paoli si è data della stronza.
Ancora oggi mi insulto; ma come definisce una che non ha capito il valore di un brano come Il cielo in una stanza?
Distratta.
Allora lo sono stata anche con Domenico Modugno e la sua Tu si ‘na cosa grande; dopo averla ascoltata gli ho pure contestato il titolo. “A Napoli non si dice tu si ‘na cosa grande, ma ‘na cosa grossa assaie”. Quel brano andò alla Vanoni.
Quindi la Vanoni deve ringraziarla?
(Ride) Un po’ sì.
Torniamo a Paoli.
Ancora nel 2009, quando sono andata a sentirlo a Roma, una volta nel camerino mi puntò il dito e a voce alta disse: “Questa signora ha rifiutato Il cielo in una stanza”.
Memoria “corta”…
Ascoltai il brano negli studi della Ricordi e mi sembrava senza armonie, una non-canzone e poi quel “soffitto viola” per me portava sfiga.
Effettivamente le ha portato sfiga.
Quando la sentii cantata da Mina capii la stupidaggine; da allora, ogni volta che incontravo Paoli lui si portava la mano alla bocca, nascondeva la risata e neanche mi salutava.
Lei amica di Mina.
La più brava di tutte e una persona fantastica.
Invidiata.
Eccome; a un certo punto mi propose di entrare nella sua etichetta, io felice, poi saltò tutto per via di una soffiata ai giornali. Ci siamo sentite pochi anni fa, una telefonata che mi ha reso felice.
Amica pure di Tenco.
Altro cruccio della mia vita: sono convinta che avrei potuto salvarlo.
E come?
L’ho conosciuto nell’estate del 1966, diventammo subito amici: mi piaceva la sua ironia, la sua malinconia, amavo lo stile moderno di cantare, lo stirare le note come se non avesse fretta; poi soffriva a causa dell’industria discografica: vendeva poco, mentre il suo amico-rivale Paoli era sempre in classifica.
Insomma…
(Cambia espressione, s’incupisce) Un giorno entra nella mia camera da letto, ero sotto le coperte con la febbre. E senza dire nulla estrae due pistole. “Che ci fai?”. “Mi diverto”. Poi andiamo a tavola e all’improvviso invita me e mio marito ad accompagnarlo a Sanremo. È lì che sono stata una cretina: in parte non volevo legare il mio nome a quello di uno sconosciuto; (altra pausa) Luigi era una persona molto emotiva, in sala prove aveva bisogno del whisky anche se a Sanremo avrebbe cantato in playback; (cambia discorso) alla lista aggiunga Malaga di Fred Bongusto?
Che è successo?
Altra stupidaggine: l’ho rifiutata (e la intona con una voce bellissima).
Canta spesso a casa?
Quasi mai, ho bisogno di un palcoscenico.
Prima ha nominato la Vanoni.
Con lei c’è stata qualche incomprensione; all’epoca ero celebre pure per la “mossa”, oramai era un appuntamento voluto dal pubblico (piazzava le mani sui fianchi e ondeggiava). Una sera, mentre cantava, la chiesero pure a Ornella. E lei stizzita: “Andate da Miranda Martino”. Appena possibile, in una trasmissione di Mike Bongiorno, replicai con “non sono solo quella della ‘mossa’”. Peccato che poco tempo dopo eravamo insieme a una manifestazione vicino a Napoli e una volta sul palco riecco la richiesta: “A Mira’, la mossa!”. Appena finito incontro Ornella che con la sua voce stridula non perde l’occasione: “Lo vedi…”.
All’inizio ha accennato ai problemi dei primi anni 70.
No, quelli veri sono iniziati alla fine dei 50.
Come?
Parliamo di una vita fa, ma il dolore è sempre qui; (pausa, cambia tono) in Rai incontrai il maestro Canfora, musicista stimato e uomo di enorme fascino. Iniziai a frequentare casa sua e sua moglie, insieme mi insegnarono tutto, compreso il galateo. Per me lui era un vero mentore. Fino a quando scoccò qualcosa, la sua voce roca mi faceva tremare, amavo passare il tempo con lui.
Fino a quando…
Una sera mi invita a casa, la moglie non c’era. Mi offre del whisky, la testa mi gira, capisco poco. Mi spoglia, inizia a baciarmi, iniziamo a fare l’amore, poi all’improvviso si alza, mi gira e sempre con gli occhi chiusi sento “click”, “click”…
A quel punto gli occhi li ha aperti?
No, ero sognante, felice; passano due anni e il grande capo della Rca, Melis, mi convoca nel suo ufficio e con modi imbarazzati mi spiega che da parte dell’azienda c’erano riserve rispetto a portarmi a Sanremo. Secondo loro la mia condotta morale era dubbia, in giro si parlava di orge.
E lì?
Piano piano scopro che il suddetto maestro aveva mostrato le foto e capii perché in quel periodo avevo avvertito tanta ostilità.
E il suddetto maestro?
Come se niente fosse, anni dopo ci ha pure riprovato.
E lei?
Distrutta. Per due anni non ho quasi mangiato. Ripeto: è un dolore che mi porto ancora dentro e ho cercato di esorcizzarlo pure posando per Playboy. Ovvio, non ha funzionato, ma almeno non mi sono nascosta; (quasi sorride) le foto per Playboy le ho concesse gratis e sono stata la prima tra le cantanti.
Invece la vicenda del 1970?
Vado allo stadio con mio marito, c’era il derby Roma-Lazio. Una volta lì, ai cancelli per la tribuna, trovo Ezio Radaelli, ex patron di Sanremo, con il quale anni prima c’era stato un piccolo diverbio. Mi vede, mi saluta e mi consiglia di provare a un altro ingresso. Non va. Torno indietro e provo a varcare i cancelli. Macché, cercano di impedirmelo e scatta una discussione. Vengo chiusa in mezzo ai cancelli, nonostante fossi incinta. A quel punto urlo, mi dimeno, riesco a divincolarmi e finisco persa nella folla, stordita, fino a quando una donna mi mette una sigaretta in bocca, accompagnata da uno “stai calma, ora va bene”. Era Raffaela Carrà insieme a Renzo Arbore e Gianni Boncompagni.
Non è finita qui…
A casa mi ritrovo piena di ematomi e costretta ad andare dal medico; allora chiamo il mio amico Maurizio Arena. Fu lui a esortarmi: “Ma che fai? Non ti riconosco”. E mi consiglia un avvocato. Quell’avvocato sbagliò tutto. Venni condannata con una sentenza già scritta. Non volevo che mio figlio nascesse in un Paese del genere.
Era amica di Arena?
Molto, ci sentivamo e frequentavamo. Un mezzo pazzo.
Un grande seduttore.
(Sorride) Un tipo tremendo, un artista; ma quelli sono stati anni di follia.
Erano anni in cui giravano molti gangster.
A New York ne ho conosciuto uno che si presentò con dodici canzoni inedite: voleva che le incidessi; (torna a sorridere) poi per caso sono entrata in contatto con Antonio Spavone (detto ‘o Malommo, ndr); accusato di omicidio, si venne a rifugiare a casa mia: “Aiutami, è stata legittima difesa!”, ripeteva. Aveva ragione. È pure scampato a un attentato, mentre poi, poveraccio, è morto per un tumore.
Ha lavorato con Totò.
Mi chiamò per incidere due suoi brani; mi diede una busta con dentro trecentomila lire: “Non serve, non voglio”. “I soldi fanno sempre comodo”.
Si era innamorato di lei?
Questo non lo so, però ogni tanto, quando parlavamo, mi piazzava una mano sulla gamba ed esclamava: “Che belle cosce tiene la Martino”; l’ultima volta che ho sentito la sua voce ero a casa sua. Entro e lo sento urlare: “Lasciatemi morire!”. Sono andata via (indica una foto sul muro). È stata scattata per i miei settant’anni.
C’è la Pampanini.
Che tipa.
Malafemmina Totò l’ha scritta per lei?
È una grossa cazzata; però lei ci faceva ridere.
Una delusione come persona?
Marcello Mastroianni. Dopo averlo visto ne Il bell’Antonio ero impazzita. “Devo conoscerlo”. Trovo il telefono, lo chiamo e ci mettiamo d’accordo per un appuntamento in via Asiago. Usciamo. E inizia a chiedermi dei miei guadagni, delle proprietà, di come andava la carriera; insomma, al suo fianco desiderava una donna con prestigio e capacità economica. Lasciai perdere.
Invece una sorpresa…
Anna Magnani. Andai a vederla a teatro, era la protagonista de La Lupa (1965 di Franco Zeffirelli, ndr). Alla fine, nei camerini, era scocciata: “A me ‘sto spettacolo nun m’èpiaciuto proprio”. Aveva ragione, e poi era fantastica al cinema, mentre a teatro non aveva i tempi giusti.
Lei con il cinema…
Niente di che, soprattutto non ho mai capito perché ho accettato di recitare in un film orrendo come Addio mamma (1967).
Si è divertita nella vita?
Sì, però mi è piaciuta maggiormente questa ultima parte, più tranquilla, più pacificata
Lei chi è?
(Cambia volto, postura, ondeggia la braccia, modula la voce. È come se all’improvviso fosse su un palco) Non lo so.