il Fatto Quotidiano, 21 aprile 2024
Rai, il tele-disastro fa ricco il bilancio Mediaset (non per molto però)
MediaforEurope, Mfe in sigla, cioè quella che un tempo era Mediaset, fa bene a festeggiare: i risultati del bilancio 2023, presentati giovedì, “sono nettamente superiori alle stime di inizio anno”. Buon per la famiglia Berlusconi, che controlla la società con sede in Olanda attraverso Fininvest: l’anno scorso sono cresciuti leggermente sia i ricavi pubblicitari che quelli totali (2,81 miliardi, +0,3%), ma soprattutto gli utili delle attività in Italia e Spagna (217 milioni rispetto ai 184 del 2022), in specie grazie al controllo dei costi. Vero, però, che l’utile netto totale – comprese cioè le perdite della partecipata tedesca ProSiebenSat – è leggermente inferiore a quello di un anno prima (209 contro 217 milioni) ed è peggiorata un po’ pure la posizione finanziaria.
In sostanza, le traversie industriali della Rai, che nel 2023 ha collezionato diversi flop e perso nomi di peso a partire da Fabio Fazio, hanno dato una bella mano a Mediaset, che – forse non è neanche il caso di ricordarlo – è controllata da una famiglia di editori che “controlla” anche uno dei partiti di maggioranza, Forza Italia, di cui garantisce i debiti per quasi 100 milioni di euro: “Nel 2023 – si legge nel bilancio Mfe – Mediaset ha sorpassato stabilmente il competitor pubblico su tutti gli italiani considerando l’anno pieno e tutti gli eventi. Le reti Mediaset, infatti, nelle 24 ore hanno raggiunto il 37,8% di ascolto medio contro il 37% della tv di Stato”. Il 2024 è iniziato ancora meglio di com’era finito l’anno scorso: “Nella prima parte dell’esercizio in corso, l’andamento della raccolta pubblicitaria del Gruppo, supportata da ottimi risultati editoriali, ha registrato una crescita importante pari al +6% rispetto allo stesso periodo dell’esercizio precedente”.
Volendo maramaldeggiare, TeleMeloni sta facendo ricca TeleBerlusconi, eppure i problemi strutturali di Mediaset non sono certo alle spalle e il futuro è più incerto che mai: a Cologno Monzese (o ad Amsterdam) non possono stare tranquilli neanche coi disastri dei Fratelli d’Italia in Rai. Riassumendo all’osso, Mediaset è un’azienda che langue in un mercato che langue (la tv generalista) e, nonostante produca ancora utili, nessuno sa se e quanto potrà durare il suo peculiare modello industriale. Per capirci, partiamo dai numeri: il gruppo aveva ricavi – in larghissima parte pubblicitari – per 4,3 miliardi nel 2010, erano 3,5 nel 2015, il 2023 si è chiuso a 2,8 miliardi come l’anno prima, un po’ più di due miliardi in Italia e il resto in Spagna (un crollo simile negli anni ha subito la capitalizzazione di Borsa).
Riassumendo, Mfe oggi non ha la stazza per competere coi grandi produttori di contenuti divenuti broadcaster (Disney, Paramount, etc) o con le piattaforme divenute produttrici (Netflix, Prime, AppleTv, etc): il tentativo di entrare nella pay tv (Mediaset Premium) fu un disastro, quello di reinventarsi da sola come gigante europeo è in stallo da tempo e oggi Pier Silvio e soci amministrano come possono il “vecchio” mercato televisivo, continuando a esercitare l’esorbitante privilegio concessogli su quello italiano. Funziona così: alla tv in Italia va circa il 68% degli investimenti pubblicitari tradizionali (5,3 miliardi nel 2023 secondo Nielsen, percentuali uniche nei Paesi avanzati), di cui la tv del fu Cavaliere si aggiudica quasi il 55%, in soldi circa due miliardi, a fronte di un audience totale del 37,7%. Di fatto, Mfe assorbe tutti gli spot che la Rai lascia per strada per via dei (sacrosanti) tetti pubblicitari e così tiene in piedi la baracca.
Quanto può durare? Questa è la vera domanda soprattutto ora che la Rai perde ascolti, gonfiando quelli di concorrenti come La7 e Discovery: in particolare il colosso Usa (Warner Bros), la cui raccolta pubblicitaria in Italia è ancora inferiore alla sua quota di audience, ha avviato una aggressiva politica proprio nel “giardino di casa” di Mediaset, la tv lineare e la fascia di pubblico 15-64 anni.
I grandi nomi ingaggiati – l’ultimo è Amadeus, altri arriveranno – e gli ingenti investimenti annunciati significano una cosa sola, guerra commerciale, specie sulla prima serata: “In ballo c’è la pubblicità – ha spiegato a Repubblica Agostino Saccà, una vita ai vertici Rai – Se investono è perché usciranno anche con la piattaforma che, con una sorella lineare, vive meglio. Puntano al ventre molle di Mediaset”. TeleMeloni può concedere al Biscione un po’ di tempo, ma non la garanzia che tutto resti com’è sempre stato.