la Repubblica, 22 aprile 2024
Intervista a Milena Vukotic
Milena Vukotic, il 3 maggio avrà il David di Donatello alla carriera.
«Evento formidabile. Sono emozionata e, da quando l’ho saputo, anche distratta rispetto allo spettacolo teatrale».
89 anni il 23 aprile. Come festeggerà?
«Nel miglior modo: sul palco».
Soddisfatta della filmografia?
«Sì, ho lavorato con grandi artisti, avrei voluto più protagoniste e meno caratteri. Ma il mio aspetto fisico era fuori moda per il cinema anni 60».
In “Venga a prendere il caffè da noi” era una delle “tre bruttezze”.
«Come nel romanzo di Piero Chiara, le tre erano emblemi di disarmonia.
Ad Angela Goodwin misero una protesi in bocca, imbruttirono col trucco Francesca Romana Coluzzi. Io andavo bene così com’ero. Mi ha fatto anche ridere, le trasformazioni fanno parte del mestiere. Avrei voluto anche trasformarmi in una donna fatale».
Perciò le foto nuda su Playboy?
«Fu un caso, Angelo Frontoni disse: ma ti fanno sempre fare la bruttina, fai delle foto con me? Le fece vedere a Playboy. Gli amici mi rimproverarono. Non lo rifarei».
Ha iniziato prestissimo la danza.
«Ero magrolina, fragilina, mia sorella ripeteva che dovevo studiare la classica. Una grande scuola di disciplina. Ho ballato nella compagnia del marchese di Cuevas».
Avventure nel mondo?
«Con la compagnia di Cuevas, noi e l’orchestra viaggiavamo in aereo, i costumi ci seguivano in nave. A Buenos Aires avevamo una prima grandiosa, i vestiti non arrivarono.
Lui s’inventò: facciamo vedere la vita di un ballerino, andiamo in scena con le nostre calzamaglie bucate e le facce stanche. Il pubblico seccato grida “el circo”. Poi si entusiasma e viene in scena ad abbracciarci».
Poi vede “La strada” e sogna il cinema.
«Non avevo mai visto un film di Fellini. La scena del matto che dice a Giulietta: tutti siamo utili in questo mondo, anche questo sassolino.
Tutto vale la pena di essere vissuto e tutti siamo utili: questo mi ha conquistato. Sono figlia di artisti, papà scriveva per il teatro, mamma era pianista e compositrice. Mia mamma si era trasferita a Roma, Fellini era a Roma, era il momento».
Le ha cambiato la vita.
«Ho tanti ricordi. Ero spesso a casa di Federico, piena di persone spiritose,
giocose come lui, stava preparando il Satyricon e la sua segretaria doveva partire. Mi proposi di aiutarlo io, accettò. Gli ho fatto da assistente, smistavo migliaia di lettere. Riceveva tutti e rispondeva quasi a tutti. Arrivava ogni tipo di persona, un giorno si è presentato un gigante, Federico sembrava un bambino vicino a lui. Queste cose straordinarie non erano solo il cinema, ma la sua vita».
E poi Villaggio, Fantozzi. La Pina.
«Paolo è stato importante nella mia vita, mi manca. Pina era drammatica, patetica ma amata dal pubblico perché leale. Anche se Paolo scrisse una battuta tremenda per raccontare l’impossibilità di essere amato da chiunque. Lui le chiede se lei lo ama, lei risponde “ti stimo tanto”. Paolo ci teneva moltissimo a questa battuta».
Cosa le manca di più di lui?
«La sagacia, l’intelligenza.
Nell’ultimo periodo era triste, si era trasferito in una casa che non gli piaceva. Avevo promesso di andare a trovarlo ma ero sempre in tournée e quando sono tornata se n’era andato. Ne ho sofferto».
L’allegria di Lina Wertmüller?
«Ero a Belgrado da mio padre, mi telefona Lina per Giamburrasca, mi chiede di cantare al telefono. Torno a Roma per incontrarla. Viveva con il padre avvocato, aveva una stanzetta con un pianoforte in cui trovo Nino Rota a farmi il provino».
Con Bertolucci. 1967 l’episodio “Agonia” di “Amore e Rabbia”.
«Sostituii Natalia Ginzburg nel ruolo dell’infermiera. Julian Back, leader degli americani del Living Theatre faceva il vescovo morente, i ballerini incarnavano i rigurgiti della sua coscienza, 30 artisti che si esibivano in movimenti liberi. Quel set fu un caos, chi nudo, chi in calzamaglia, chi con vestiti orientali, qualcuno in estasi, altri immobili, uno si mise a vomitare. Il direttore della fotografia chiese a Bertolucci un minimo di ordine e quando lui diede lo stop una ballerina si ribellò e se ne andò.
Bernardo non perse un filo della sua dolcezza».
Nell’album di ricordi c’è Nureyev che balla per lei all’Isola Tiberina.
«A Parigi era scappato dalla sua compagnia per non tornare in Russia. Viene a Roma a ballare e con la mia coinquilina sua amica lo andiamo a trovare. “Ceniamo domani?”. Lo prendiamo con la mia 500 sull’Appia, dopo una cena in cui parlano e bevono tanto, alle due di notte lui non vuole andare in albergo. Lo porto sull’Isola Tiberina, noi sfinite, lui pieno di energia.
Raccoglie un giornale, ci fa un cappello, inizia a ballare nella notte, sull’Isola vuota».
Ha sfiorato La grande bellezza.
«Dovevo lavorare in tv. Sorrentino mi disse “vediamo cosa fare”, non mi ha chiamato. Era la parte della santa».
Ha girato “Il coupon della felicità” di Ferrente. Il suo coupon?
«Vorrei fare ancora cinema: mi entusiasma e mi appaga».