la Repubblica, 22 aprile 2024
Marco Pannella e quelle voci eterne ascoltate in radio
Agli ascoltatori di Radio Radicale capita spesso d’imbattersi in Marco Pannella e di riconoscere subito la voce, ma di faticare a comprendere il discorso. Viaggio in macchina quando Pannella dice «io comunque ho la carta di riserva, folle» e Bordin lo interrompe «meno male». La voce di Pannella non è ancora affaticata dagli ultimi mali, ma la sento “ingiallita” come i capelli, al tempo del codino, e dunque la colloco nel 2010. Nell’insonnia invece Pannella, voce ‘e notte,squilla di «giovane ma non giovanile» bronchite mentre parla di «corpi che danno corpo alla parola o all’idea, alle idee». È il 2003? Ogni volta che Radio Radicale ripropone i suoi preziosi documenti ritrovo la storia d’Italia, non nella famosa dialettica senza tempo ma, per esempio, nell’amarezza nasale che prevale sull’ironia della tosse di Bordin quando chiede se «non è un po’ schematico» a un Beppe Grillo che, con l’ugola non ancora infuriata dal fanatismo, racconta di un contadino che vinse una causa perché «gli aerei militari gli avevano disperso le galline». È il 2006? In questo gioco a quiz si può dare l’età alle voci d’Italia, Gianni Letta e Intini, Craxi e Moro, Borrelli e Mattarella… Stimati invisibili è il titolo di Walter Benjamin che riassume il mistero delle voci che in radio sono riconosciute dalla memoria. Non quelle degli ascoltatori che, con l’ormai abusata tecnica dei microfoni aperti, sono anch’essi voce, e pure potente, ma “voce collettiva”, consistenza sonora e indistinta degli umori nazionali, anche della cattiveria, che spesso è comica, come dimostra La Zanzara su Radio 24, dove Cruciani e Parenzo sono i nomi associati alle voci, «il senso della voce stessa, la voce considerata come segno» recita Paul Valéry. Nella stessa radio, la brevità del seguitissimo angoletto del mattino di Paolo Mieli non degenera mai nell’insopportabile ossessione del parlare svelto, ma i frammenti di malizia che gli affollano il palato sono «un’addizione di segni che produce il senso» della voce: l’ironia.
Nessun fisiologo e nessun linguista hanno mai raccontato come la vita si trasmetta nelle voci degli “stimati invisibili”, quando, per esempio, le corde vocali si intrecciano come “i diti” di Fracchia. E vale come caso di scuola il Pavarotti che, quasi alla boa dei 50, fu fischiato alla Scala (Lucia di Lammermoor, 1983) ma, duettando poi con Elton John e Bono, fu molto più amato dal pubblico che «non potendo salvare la voce antica e oscura, cercò una tecnica che permettesse di conoscerla», che è un Dionisio Trace citato da Agamben nell’erudito La voce umana(Quodlibet). Tutti sappiamo che un bel giorno si disarticolò anche Maurizio Costanzo, che della radio italiana era lavox,in greco ph?n?,che significa sia voce sia vocabolo, sia la parola sia il suo suono. Sarebbe bella una trasmissione radio di scherzi impertinenti sulle voci, come cominciano e come diventano, quando «il soffio sfugge sui lati della lingua e scivola come un liquido che cola».