Corriere della Sera, 21 aprile 2024
Inervista a Zubin Metha
«Eccomi qua, in perfetta salute», dice Zubin Mehta, 88 anni. Nello scorso ottobre fu dato per morto dal sito della Los Angeles Philharmonic, che era stato hackerato. Uno scherzo macabro, forse legato al tumore di anni fa, sconfitto dal grande direttore. «Ora mi viene da sorridere ma non fu una cosa simpatica. Il sito della Los Angeles Philharmonic fu hackerato, non si è mai saputo l’autore di quello scherzo di cattivo gusto. Fatto sta che dovetti restare incollato al telefono tutto il giorno per rassicurare gli amici. Saranno state duecento chiamate. A tutti rispondevo: Still Alive».
Stasera per il Maggio Fiorentino torna nel posto che gli è più caro, il podio, per uno spettacolo dalla bellezza abbagliante, sfarzosa: la ripresa di Turandot allestita nel 1998 a Pechino, nella Città Proibita, con la regia di un grande del cinema, Zhang Yimou.
«Non fu facile convincere le autorità cinesi. Ci vollero quattro anni. Fu la prima volta di un’opera nella Città proibita. Yang Shangkun, presidente della Repubblica popolare cinese, subiva l’influenza di sua figlia, che era un’accanita oppositrice di Zhang Yimou, lo accusava di non realizzare film di propaganda. A Pechino, dove ero in tournée con i Wiener, mi presentai dal ministro della Cultura con una scatola di mango dall’India. Il cibo aiuta a risolvere tante situazioni».
La Città Proibita aveva già ospitato il film Oscar di Bertolucci. «Fu un altro problema per noi. Perché girando L’ultimo imperatore aveva lasciato tanto disordine. Noi fummo attenti a non distruggere nulla. Quattromila spettatori per nove recite. L’evocazione lunare, le lanterne della notte di Pechino, i costumi fatti a mano a Shangai…Una Cina molto fiabesca. Ora però riprendiamo l’edizione fiorentina precedente, la regia è la stessa, solo che al chiuso e non all’aperto sono diversi alcuni dettagli, e i movimenti del coro sono meno statici».
Zhang Yimou «era umile, digiuno di musica. Lo aiutai. Parlavamo attraverso l’interprete perché non sapeva l’inglese. Aveva già girato Lanterne rosse».
Cena indiana
«Festeggerò il mio ottantottesimo compleanno con una cena indiana»
Si parlò di sonorità vicine al suo amato Richard Strauss. «Io invece direi che andai verso richiami a Wagner. Puccini ne fu molto influenzato».
Qual è il momento più emozionante? «Le due arie di Liù strappano il cuore, Turandot canta in modo forte e freddo. Ho diretto tutto Puccini. Lui era concentrato sui personaggi femminili. Per gli uomini non ha mai scritto qualcosa di veramente speciale. Sì certo Calaf canta quell’aria…». Nel 1972 Mehta incise Turandot che è un punto di riferimento imprescindibile per la discografia: «Il Nessun dorma di Pavarotti divenne quasi l’inno nazionale».
Maestro, se ripensa allo scorso ottobre…«Sono ancora qua, vivo e vegeto. Non avevo nemmeno la febbre, quel giorno ero sano come un pesce».
Ha paura della morte? «No, bisogna accettarla. A Firenze sto facendo programmi fino al 2026 con il nuovo sovrintendente Carlo Fuortes, che non conoscevo. Grande professionista, viene a tutte le prove. A Firenze amano l’opera, le nostre recite sono sold out.. La sfida è di convincere i fiorentini a sostenerci e ad aprire di più il portafogli. Purtroppo non ci sono i benefici fiscali come negli Usa. Io vado avanti con tutte le mie forze. Il 29 aprile compirò 88 anni; il giorno prima e il giorno dopo ho due recite». Ha deciso quando smetterà? Sorride: «Non programmo fino ai 100 anni, ma fino ai 90, nel 2026, sì». Al suo compleanno, sua moglie preparerà «una cena indiana in mio onore. Io sono parsi e i nostri piatti sono più speziati, si mescola tradizione musulmana e indù».
Buon compleanno, caro Zubin Mehta.