La Stampa, 19 aprile 2024
Come chiudono i consultori
Gli antiabortisti sono già nei consultori. Lo denunciano le attiviste di Non una di meno di Roma e del Coordinamento delle assemblee delle donne e libere soggettività dei Consultori, che hanno censito con pazienza e determinazione, tutti i consultori pubblici del Lazio trovando 43 obiezioni, il 14% del totale. I dati sono stati raccolti dalle attiviste, che hanno chiesto tramite Pec ai direttori delle Asl i numeri sull’obiezione di coscienza, sia negli ospedali sia nei consultori. «Non è stato semplice ottenerli – spiega Graziella Bastelli – e da alcune Asl non abbiamo ricevuto risposta».
A obiettare non sono solo i ginecologi ma anche gli assistenti sociali, gli psicologi. In alcuni consultori a mettere la coscienza davanti al proprio dovere è addirittura il totale del personale. «Un totale abuso, nei consultori non è prevista l’obiezione», precisa Graziella Bastelli, attivista di Non una di meno che ha fatto parte del gruppo che ha condotto la ricerca.
Lo stabilisce una sentenza del Tar del Lazio dell’agosto del 2016: i medici che lavorano nei consultori hanno il dovere di garantire i certificati necessari per l’interruzione di gravidanza. Devono prescrivere i contraccettivi, anche quelli di emergenza come la pillola dei cinque giorni dopo e quella del giorno dopo a cui gli antiabortisti da sempre sono contrari. Mentre gli antiabortisti provano a conquistare attraverso un emendamento approvato dalla Commissione bilancio della Camera il via libera ufficiale nei consultori, i consultori sono da tempo uno dei terreni di lenta erosione del diritto di scelta delle donne.
«Quando sono nati – spiega Silvana Agatone, presidente di Laiga, associazione che riunisce i medici non obiettori – erano strutturati sul modello del consultorio autogestito creato nel 1974 da Simonetta Tosi. Erano luoghi dove la donna era al centro di ogni informazione su contraccezione e prevenzione. Ora questa idea viene a poco a poco demolita. Stanno nascendo consultori cattolici in tutta Italia che assomigliano a consultori pubblici ma non lo sono. Le donne entrano pensando di andare in un consultorio invece aprono la porta e trovano tutt’altro».
«Chiudono i consultori pubblici e ne aprono di privati», denuncia Graziella Bastelli. «E sono privati che non sono per nulla volontari. Sono associazioni finanziate dai comuni, dalle regioni. Una strategia ben delineata nei documenti redatti da Agenda Europa, una rete di mobilitazione ispirata dal Vaticano», aggiunge Silvana Agatone.
Nel frattempo i consultori pubblici si svuotano. Secondo l’indagine più recente realizzata dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2018-2019, in Italia ci sono il 60% di consultori in meno di quanti ne sarebbero necessari. Sono circa 1.800, uno ogni 32.325 residenti, un numero ben al di sotto di quanto stabilito dalla legge 34 del 1996, che ne prevede uno ogni 20 mila abitanti. Un numero in lento, inesorabile calo: nel 1993 era disponibile circa un consultorio familiare ogni 20mila residenti, nel 2008 ne risultava uno ogni 28mila.
«Ci sono consultori ridotti a semplice presidio pediatrico – denuncia Graziella Bastelli – Ce ne sono altri che sono stati assorbiti nelle case della salute perché non c’è personale. E ce ne sono altri dove, invece, abbiamo fermato la chiusura in atto».
«I consultori vengono chiusi e accorpati – racconta Leonia Vattani, militante della Rete nazionale consultori – costringendo le donne a tragitti molto più lunghi per raggiungerli. E creando altri ostacoli alle interruzioni di gravidanza perché è in questi centri che opera il medico che fornisce gratis la contraccezione o che attesta la volontà della donna di interrompere la gravidanza, o riscontra l’urgenza rilasciando la certificazione per permettere e la somministrazione della Ru486». A chi sostiene che gli operatori del terzo settore andrebbero a riempire un vuoto risponde che il vuoto non esiste: «Accade spesso che arrivino donne indecise se abortire oppure no. In quei casi la ginecologa o l’assistente sociale che fa accoglienza ascolta e invita la donna alla riflessione».
Le donne dei consultori non hanno intenzione di stare a guardare l’attacco senza reagire. «No pasaran – avverte Marina Toschi, ginecologa della rete italiana Pro-Choice – Come operatrici e operatori dei consultori ci riteniamo offesi all’idea che si vogliano introdurre persone che non hanno alcuna competenza. Stavolta hanno passato il segno. A fine maggio faremo una marcia su Roma per far sentire la nostra voce». —