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 2024  aprile 19 Venerdì calendario

Il piano di Re Giorgio per l’eredità dell’impero


Quella giacca che veste perfetta pur essendo estremamente leggera e non costringente, perché sfoderata, amata anche dall’American Gigolò Richard Gere, quei completi che accompagnarono la donna nelle prime scalate ai cosiddetti soffitti di cristallo, e, poi, quell’eleganza misurata, eterea, con vaghi accenni orientali, oltre a quel grigio impalpabile giusto completamento di una filosofia di eleganza senza fronzoli. Questo, e molto altro, è Giorgio Armani. E tutto ciò potrebbe mutare, forse. Il leggendario stilista, infatti, incoronato sulla copertina del Time già nel 1982 come purosangue di un made in Italy che non c’è (quasi) più, ha rilasciato un’intervista a Bloomberg dove, alla soglia del suo novantesimo compleanno, parla dei piani per il futuro dell’azienda, che ha voluto, fondato e guidato in prima persona dal 1975, difendendo sempre una fondamentale autonomia del marchio. «L’indipendenza dai grandi gruppi potrebbe rappresentare ancora un valore trainante per il Gruppo Armani in futuro, ma non sento di escludere nulla – ha dichiarato – Ciò che da sempre caratterizza il successo del mio lavoro è la capacità di adattarsi ai tempi che cambiano». Insomma, il designer, che ha impostato il suo lavoro su un grande controllo su ogni dettaglio della filiera produttiva e organizzativa della griffe, non esclude che un giorno la sua creatura possa finire nel portafogli anche di un grande gruppo del lusso. Sì, ricorda ciò che è già successo per altri tesori dello stile italiano, come Valentino, Gucci, Versace o Fendi, solo per citarne alcuni, entrati, in un modo o nell’altro, nel corso degli anni, nelle mani di agglomerati finanziari, soprattutto francesi, presi dall’urgenza più di far quadrare i conti che di far brillare di creatività le passerelle.
I PALETTI
Pietra miliare per il dopo-Armani è stata l’assemblea svoltasi a Milano, nello studio del notaio Elena Terrenghi, alle ore 9,30 del 26 settembre 2023 che ha modificato lo statuto con efficacia differita, all’apertura della successione di Armani, titolare del 99,9% del gruppo dei cui la Fondazione Armani ha lo 0,1%. L’imprenditore non ha figli, ma solo i nipoti Andrea Camerana (figlio della sorella Rosanna), Silvana e Roberta Armani (figlie del fratello Sergio). Lo statuto che sarà adottato alla scomparsa del fondatore prevede sei categorie di azionisti nel capitale, considerati uguali al momento della distribuzione del dividendo (sarà ripartito solo il 50% degli utili) ma diversi in termini di diritti di voto e di nomina del vertice. Ma a parte lo sbarco in Borsa, tutte le alleanze sono sulla carta possibili, comprese quelle con Lvmh di Bernard Arnault o con Kering di François Pinault, senza tralasciare nemmeno Essilux. Va ricordato che Armani ha avuto un solido legame di amicizia e di affari con Leonardo Del Vecchio: i due gruppi sono legati da accordi commerciali dal 1888 al 2003 per poi riallacciare le intese per 15 anni dall’1 gennaio 2023 fino al 2037.
LA STORIA
Concreto e non esibizionista per sua stessa ammissione, ci aveva raccontato tempo fa che le sfilate «danno sempre una grande emozione, la stessa degli inizi, anche se ne ho affrontate centinaia. È un po’ come mettersi a nudo ogni volta». Eppure la moda non è stato il suo primo amore e nemmeno così travolgente.
Nato nel 1934 a Piacenza, si trasferisce, poi, con la famiglia a Milano, dove si iscrive alla facoltà di medicina, ma non arriva alla laurea e, dopo un periodo come vetrinista alla Rinascente, viene assunto da Nino Cerruti per disegnare il marchio Hitman. «Però con il mondo del fashion non c’è mai stato l’attimo folgorante – ci aveva ancora detto – la mia scelta non è stata come quella di San Paolo sulla via di Damasco. Mi sono prima interessato al fenomeno moda (quando lavoravo alla Rinascente), poi appassionato (quando lavoravo da Cerruti) fino a sentire la voglia di esprimermi non attraverso strutture estranee, ma esponendomi alla buona sorte (ma poteva anche essere cattiva!) col mio nome e le mie responsabilità. Poi il successo è arrivato e ne fui sorpreso dalla portata. Con American Gigolo e con la copertina sul Time nel 1982 ho iniziato a essere apprezzato internazionalmente. Certo è che non mi sono mai fermato per compiacermi dei miei successi».
IL DEBUTTO IN PASSERELLA
La prima sfilata col suo nome fu nel 1975, «di cui rammento la musica del finale: un brano degli Inti-Illimani. Mi ricordo gli applausi che mi rassicurarono e un po’ mi sorpresero. In fondo avevo proposto in passerella un’immagine di donna che andava decisamente controcorrente». Da lì non si fermerà più, inventando un nuovo modo di esprimere l’eleganza, basandosi su una rivoluzione iniziale e, poi, modulando tanti piccoli spostamenti intorno al nucleo centrale del suo stile e costruendo un impero che comprende, oltre alla moda e al beauty, arredo, hotel e food e che ha permesso ad Armani di dedicarsi anche al sogno dell’alta moda con la sua linea Privé, lanciata nel 2005 e molto apprezzata dai clienti e dallo star system internazionale. Il suo modello di business è davvero unico, perché incentrato su una sola persona, che ha ripetutamente ammesso «di aver sempre vissuto il lavoro in modo assorbente e totalizzante» e questo, indubbiamente, col tempo cambierebbe. Probabilmente l’entrata in gioco di un gruppo finanziario potrebbe portare a una crescita, ma significherebbe anche, inevitabilmente, un cambiamento di valori e di stile.