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 2024  aprile 19 Venerdì calendario

A chi può giovare il fattore Draghi


Come si è visto, il dibattito su Draghi in Europa, ossia sul ruolo futuro dell’ex presidente del Consiglio, era un po’ troppo in anticipo sui tempi. La fiammata dell’altro giorno era alimentata dall’importante discorso sui limiti dell’Unione attuale, ma si è esaurita in poche ore e tutto all’interno dei confini italiani. Lo aveva capito, fatto singolare, persino il premier ungherese Orbán: interrogato sull’ipotesi di un’elezione di Draghi al posto occupato da Ursula von der Leyen, aveva risposto: «Non voglio entrare in una discussione interna italiana». E in effetti di questo si tratta al momento. Il che nulla toglie alle possibilità future di un italiano illustre, le cui idee sono forse le migliori per restituire slancio al progetto europeista. Tuttavia arrivare in anticipo sui tempi è quasi altrettanto grave che arrivare in ritardo. Come dice il presidente francese Macron, uno dei massimi estimatori di Draghi, prima di pensare alle nuove cariche al vertice dell’Unione ci sono cento passaggi da attraversare. E stavolta Macron sembra in sintonia con Giorgia Meloni. Soprattutto ci saranno da valutare, dopo il voto, i nuovi equilibri al Parlamento europeo, vale a dire chi pesa di più e chi di meno nelle famiglie politiche che contano. Solo allora avrà senso discutere di nomi e volti.
Tuttavia, almeno in Italia, sarebbe un errore mettere tra parentesi la vicenda Draghi e proseguire come se niente fosse in una campagna elettorale già abbastanza noiosa prima ancora di essere ufficialmente aperta.
Tanto più che l’ex presidente della Banca centrale, tornato sulla scena, sembra destinato a influenzare per certi aspetti il dibattito pre-elettorale.
Il suo nome è alzato come un vessillo sia da +Europa, ossia l’alleanza “di scopo” Bonino-Renzi, sia da Calenda con il gruppo di Azione. I giudizi e il tono dei commenti sono simili per non dire identici, come pure la volontà di condividere l’analisi draghiana in vista di arricchire la proposta politica di entrambi i partiti. Ovviamente la speranza è di attrarre consensi evocando quel nome. I sondaggi da tempo indicano il risultato virtuale delle due liste sommate intorno al 9-10 per cento. Il che rende bizzarro non aver voluto o saputo organizzare una sola lista, mettendo da parte i personalismi e una serie di motivi o alibi che l’opinione pubblica non ha capito granché.
È plausibile che questa nuova “agenda Draghi”, se fosse evocata sul serio o non come richiamo di maniera da Renzi e Calenda – ognuno a casa propria, s’intende —, potrebbe far crescere di un paio di punti l’area centrista. Ma l’aver diviso in due l’offerta elettorale non è stato di sicuro un buon viatico.
L’altro fattore da considerare lo tocca su Linkiesta un osservatore attento come Mario Lavia. Riguarda un punto cruciale: il discorso sull’Europa di Draghi avrebbe le carte in regola per restituire un po’ di vitalità alla cosiddetta area riformista del Pd. Vale a dire a quei gruppi che non condividono quasi nulla della gestione Schlein, essendone stati peraltro esclusi, ma che non sanno o non vogliono organizzare una seria opposizione alla segretaria. Le idee dell’ex presidente del Consiglio possono piacere o meno, tuttavia sarebbero utili a un’area povera di iniziative e spesso incerta. Esiste sulla politica estera, si riconosce nel sostegno al “cancellierato” come alternativa all’elezione diretta del premier, ma per il resto appare quasi rassegnata. Draghi offrirebbe una serie di temi da sviluppare, in chiave sociale ed economica: una strada per rendere concreto l’europeismo che spesso, al di là delle buone intenzioni, assomiglia a un espediente retorico. In ogni caso, non sembra che Elly Schlein abbia condiviso o apprezzato qualche brano del discorso draghiano. E anche questo ha un significato.