il Fatto Quotidiano, 19 aprile 2024
La prima olimpiade, una gara truccata
Una “tregua olimpica” durante gli imminenti Giochi di Parigi? Se ne è parlato in un convegno della Pontificia Università Antonianum, poi l’idea è stata rilanciata da Macron, più autorevolmente (è presidente del Paese ospitante), ma non del tutto credibilmente (non è propriamente un pacifista). E Francesco Rutelli ha ricordato la ferrea regola dell’antica Grecia: in occasione delle Olimpiadi e delle altre gare panelleniche, stop ai conflitti.
Bene, riscopriamo quei Giochi: la prima Olimpiade è del 776 a.C. e sconfina nel mito, l’abolizione è del 393 d.C. e si inquadra nelle vicende dell’Impero tardo romano.
Il mito narra di Enomao, re di Olimpia, e della bella figlia Ippodamia, promessa in sposa al primo pretendente capace di batterlo nella corsa dei carri. Ci riuscì Pelope, eroe peloponnesiaco, sia pure convincendo l’auriga Mirtilo a sfilare un perno dalla ruota del carro del re: la lunga e gloriosa vicenda dei Giochi prende le mosse così, un po’ a sorpresa, da una gara truccata. Parte però anche dalle nozze fra Pelope e Ippodamia, che divengono gli dèi locali, prima di essere sostituiti da Zeus e Hera. Quanto alla fase finale, Teodosio il Grande nell’Editto di Costantinopoli del 392 d.C. aveva vietato i culti pagani: i Giochi furono soppressi perché non erano solo un evento sportivo, ma anche religioso e perciò ormai proibito. Le gare si erano sempre svolte infatti in luoghi di culto: a Olimpia, ma anche a Delfi, Nemea, Corinto, sedi degli altri eventi panellenici, cioè aperti (superando la realtà politica delle poleis, città-Stato indipendenti e spesso in contrasto fa loro) a tutti i Greci. Ad Atene, con le Panatenaiche in onore della dea protettrice Atena, una grande processione (mirabilmente raffigurata nel fregio del Partenone) rivaleggiava con l’evento agonistico.
Olimpia è nel Peloponneso, alla suggestiva confluenza fra i fiumi Alfeo e Cladeo. Poco resta dei monumenti dedicati a Pelope e a Ippodamia, mentre sono imponenti, malgrado i crolli, le rovine dei templi di Hera e di Zeus. Quest’ultimo fu costruito fra 472 e 456 a.C. dall’architetto Libon di Elide; le sculture dei frontoni, parzialmente ricostruite nel Museo presente sul sito, furono eseguite probabilmente da Ageladas e Alkamenes, grandi bronzisti che qui invece lavorarono il marmo. Nel frontone orientale era raffigurata proprio la fase di attesa, prima della partenza, della gara fra Enomao e Pelope. Più tardi, nel 435 a.C., fu addirittura Fidia a creare una colossale statua in oro e avorio di Zeus seduto in trono: è perduta (in parte ricostruibile grazie a riproduzioni presenti in opere minori), ma era una delle Sette Meraviglie del mondo antico.
C’è anche molto altro: sono visibili i resti dell’officina in cui Fidia lavorò per la sua statua colossale, ma anche quelli del Philippeion, tempio voluto da Filippo II di Macedonia e completato dal figlio Alessandro Magno. Con la battaglia di Cheronea del 338 a.C. i Macedoni avevano raggiunto il controllo di tutte le città della Grecia, sconvolgendo l’antico mondo delle poleis indipendenti, ma vollero rendere omaggio a un sito che di quel mondo era stato un simbolo. Fra i luoghi più propriamente legati all’agonismo spicca lo stadio, più volte rifatto (la ristrutturazione più importante è del IV secolo a.C.): le tribune erano molto “spartane”, semplici pendii in terra battuta, e sono ancora ben riconoscibili. Non altrettanto si può dire del vicino ippodromo, che comunque era enormemente più grande: secondo antichi documenti bizantini 1.052 metri di lunghezza per 64 di larghezza. Nelle cinque giornate dell’edizione standard dei giochi di Olimpia (codificata fra VII e VI secolo a.C.) la corsa dei cavalli e quella delle quadrighe si svolgevano nella quarta, che era quella culminante, e gli spazi dovevano essere adeguati. Si rinnovava anche, in certo senso, l’evento che il mito presentava come fondante, e cioè la corsa di Pelope ed Enomao.
Nello stesso giorno si svolgevano inoltre il pentathlon (giavellotto, disco, salto in lungo, lotta e “diaulo”, cioè corsa di due stadi, cioè 384 metri) e il tremendo oplitodromo, che si correva indossando l’armatura detta appunto “oplitica”: elmo, corazza, schinieri, grande scudo circolare. Ovviamente anche il programma degli altri giorni era ricco e avvincente: pugilato (con guantoni di pesante pelle), pancrazio (misto di lotta e pugilato a mani nude), stadio (corsa breve, lunghezza appunto uno stadio, cioè 192 metri), dolichos (corsa di resistenza su varie lunghezze, da 7 a 24 stadi, cioè da 674 a 4800 metri), e così via. La Maratona, oggi grande protagonista delle Olimpiadi, in quelle antiche non esisteva. È sì ispirata a una gloria della Grecia classica, la battaglia vinta contro i Persiani appunto a Maratona nel 490 a.C., e all’impresa del messaggero Fidippide (che corse per 42 chilometri fino ad Atene per dare l’annuncio e poi morire), ma fu “inventata” per le Olimpiadi moderne nel 1896 da Pierre de Coubertin.
Già, De Coubertin, che vedeva nel dilettantismo un requisito fondamentale dei Giochi stessi. Gli atleti antichi apparentemente erano dilettanti purissimi: ai vincitori delle Olimpiadi veniva consegnata una corona di foglie di ulivo raccolte in un boschetto che si diceva fondato da Eracle, a quello delle Pitiche di Delfi una corona di alloro, a quelli delle Istmiche di Corinto una corona di pino… ma ai vincitori delle Panatenaiche, in più, era donata una grande anfora, detta appunto “panatenaica”, piena di pregevolissimo olio; in altri casi, ai vincitori venivano riservati privilegi dalle città di origine: per esempio, pasti gratis tutta la vita.
C’era poi un beneficio immateriale: la gloria. Gli atleti vittoriosi avevano diritto, unici fra i mortali, a essere raffigurati in statue come gli eroi e gli dèi. Un esempio per tutti, celeberrimo, anche se non a Olimpia ma a Delfi, è il magnifico “Auriga” di bronzo che, secondo Plinio il Vecchio, era opera di Pitagora di Samo e dedicata a Polyzalos tiranno di Gela (anche i leader politici potevano scendere in campo), vincitore della corsa dei carri nelle Pitiche del 478 e del 474 a.C.
Abbiamo cominciato il nostro viaggio con una corsa mitica a Olimpia, lo finiamo con una corsa storica celebrata da un capolavoro.