il Giornale, 18 aprile 2024
Come saranno le città del futuro
«Non penso che il ruolo dell’architetto sia poi così cambiato con il nuovo millennio: abbiamo sempre a che fare con un mondo reale, creiamo spazi, per quanto possiamo discutere di digitale, alla fine abbiamo a che fare con un mondo fisico». Parola di lord Norman Foster, baronetto dell’architettura, premio Pritzker nel 1999, il più prestigioso riconoscimento del settore. Il messaggio? L’architetto non deve mai perdere di vista la sincronizzazione tra ciò che avviene nel mondo e la consapevolezza sociale. Non a caso è stato uno dei primi architetti ad aderire al cosiddetto movimento della «architettura verde».
Medaglia d’Oro Reale per l’Architettura del Royal Institute of British Architects (1983) tra i vari incarichi Foster è guest editor 2024 di Domus, rivista internazionale di architettura fondata da Giò Ponti, che l’ha invitato a tenere una lectio magistralis al Politecnico in occasione della Milano Design Week. Una lezione, di cui riportiamo un piccolo stralcio, che spiazza, che rompe gli schemi e soprattutto che supera gli stereotipi sulle metropoli: non è detto che una grande città sia meno sostenibile di una piccola – racconta – così come che un grattacielo sia più impattante di un edificio basso, dipende da come viene realizzato. Uno dei suoi edifici più noti è la torre di 180 metri al 30 di St. Mary Axe a Londra, conosciuto come «the gherkin» («il cetriolino»): i 40 piani sono stati progettati con 6 prese d’aria per massimizzare la luce naturale e la ventilazione.
A Milano firma le pensiline Atm dei mezzi di superficie (2006), nello stesso anno il suo studio viene incaricato di disegnare il grande masterplan per un’area industriale dismessa alla periferia sud est di Milano, Santa Giulia. Progetto particolarmente sventurato che subì un’improvvisa battuta d’arresto nel 2010 per problemi legati alle bonifiche e a vicende giudiziarie.
Nel 2018 firma il primo flagship store Apple in Italia, che ha completamente trasformato il volto di piazzetta Liberty a Milano, diventata un luogo di ritrovo grazie alla scalinata discendente e all’elegante struttura di vetro irrorata d’acqua. Ecco così che la pietra di beola e la trasparenza del vetro incarnano i principi ispiratori del lavoro di Foster: «Lavora su ciò che è ignoto per renderlo visibile». Come se si trattasse di un’arte maieutica, l’architetto riesce così a far emergere dagli spazi ciò che era nascosto, ma che mancava. Con un faro sempre acceso: «la bellezza».