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 2024  aprile 18 Giovedì calendario

Intervista a Joël Dicker


Q uante copie ha venduto? «Quindici milioni... Lo so, sembra folle, ma lo posso dire in modo rilassato, perché non sono un musicista, che suona davanti a migliaia di persone... Anche perché non amo molto i riflettori». Joël Dicker risponde al telefono da Parigi, dove è in tour per il suo nuovo romanzo, Un animale selvaggio (La nave di Teseo). Nato a Ginevra nel 1985, dal successo mondiale La verità sul caso Harry Quebert, diventato una serie tv con Patrick Dempsey, lo scrittore svizzero non ha sbagliato un colpo. E anche questa volta il suo thriller è primo in classifica. Un animale selvaggio ci porta nella sua Ginevra: 440 pagine, da leggere come sempre in apnea, che raccontano di una rapina e delle vicende di Sophie e Arpad, bellissimi, ricchissimi, felicissimi, insomma una coppia apparentemente da invidiare, che sembra però incrinarsi fra bugie, segreti, passioni forti e l’interesse morboso dei vicini, il superpoliziotto Greg e la moglie Karine.
Joël Dicker, quasi tutti gli altri suoi romanzi si svolgono in America. Come mai questa ambientazione ginevrina?
«All’inizio era difficile per me inventare storie ambientate nella mia realtà. Quindi, quando ho iniziato a scrivere romanzi, avere gli Stati Uniti come sfondo mi dava una certa libertà. Pensavo che, ambientando una storia a New York, non avrei avuto problemi a inventare una strada che non esiste... Questa distanza è stata molto utile».
E poi?
«Poi, prima con L’enigma della camera 622 e ora con Un animale selvaggio, mi sono posto la sfida di ambientare un romanzo nella mia città: ora sento di essere in grado, di poter trattare Ginevra come qualsiasi altro materiale di fiction».
Altra particolarità: il romanzo non si apre con un omicidio.
«Sì. Ogni libro è una sfida nuova. Questo è il mio settimo romanzo: sono ancora un autore giovane, ci sono molte cose che voglio migliorare e capire del lavoro. Perciò cerco qualcosa di diverso. In questo caso, per me era importante una storia di suspence, ma senza omicidi: perché il punto è proprio la suspence, come racconti la storia. Borges diceva: ogni buona storia, se ben raccontata, è un giallo».
È anche un romanzo di apparenze e bugie?
«Lo è, ed è giusto mettere insieme le due cose: le apparenze sono una bugia».
I protagonisti, Sophie e Arpad, sembrano condurre una vita da sogno, anche se la realtà si rivela diversa. Che cosa vuole dire con questo?
«Due cose. Primo: dobbiamo stare attenti con le apparenze e, ancora di più, con la perfezione e chiederci quale sia la realtà dietro di essa. Il secondo aspetto riguarda l’apparenza stessa: sono gli altri a vedere Sophie e Arpad come perfetti, non sono loro a vedersi così. Questa immagine nasce dall’osservazione, sbagliata, da parte di Karine e Greg: e questo ci dice qualcosa di loro, di chi siano, delle loro fantasie e aspirazioni. Ed è qualcosa che mi interessa».
Quanto ha impiegato a scrivere il romanzo?
«Due anni. Sono abbastanza lento a scrivere, o perlomeno mi sento tale».
Che cosa ci dice il titolo, Un animale selvaggio?
«Un aspetto riguarda il fatto che dovremmo ascoltare i nostri istinti, che sono importanti e non mentono mai su quello che siamo».
Vale anche nella scrittura?
«Sì, specialmente nella scrittura devi fidarti dell’istinto: quando stai scrivendo, magari puoi chiedere consiglio a qualcuno, ma l’unico che possa dirti se la direzione è giusta sei tu».
La trama, qui, procede a ritroso, attraverso continui flashback. Come costruisce i suoi romanzi?
«Li scrivo esattamente come poi le persone li leggono: quando inizio non ho un intreccio, non so nulla della storia e solo procedendo, lentamente, capisco quello che sto facendo... E man mano, più vado avanti, più so quello che sto scrivendo, più torno indietro e faccio aggiustamenti, cambio qualche particolare. Dopo un centinaio di pagine ne capisco ancora di più, e allora cambio di nuovo, e così via, avanti e indietro».
Ci vuole tanta pazienza?
«Tanta pazienza, e ancora più passione».
I suoi libri sono definiti dei page-turner: li cominci e non riesci più a smettere di leggerli. Ha un segreto?
«Non lo so. Se ci fosse una ricetta, credo che gli autori sarebbero molto felici, ma in realtà non so come funzioni. So solo che per me scrivere è un grande piacere, una passione».
Ci sono molte passioni anche nel libro: gelosia, amore, ossessione, ambizione, bramosia, invidia...
«Le passioni sono i pilastri della nostra esistenza: ne abbiamo bisogno per evolverci e danno significato alla vita. Anche se possono essere distruttive».
Dove trova ispirazione?
«Da qualche parte nel mio cervello... L’ispirazione è parte di una magia, un mistero, che sorge all’incrocio fra qualcosa di inconscio nel nostro cervello, tutto ciò che ha visto, sperimentato, letto, osservato e che è nascosto in esso, e qualcosa di conscio, che sperimentiamo nel momento in cui pensiamo e osserviamo. E il miscuglio fra conscio e inconscio crea un’idea».
Ha dei modelli?
«Tutti gli autori che ho letto e amato, che mi hanno fatto vivere una nuova vita nei loro libri: Roald Dahl, Ken Follett, Stefan Zweig, Romain Gary, Philip Roth, John Steinbeck...»
E invece il suo stile, apparentemente semplice?
«È molto difficile essere semplice, ed è molto facile essere complicato. Non mi paragono, ma cito questa affermazione di Picasso: ho lavorato per tutta la vita per essere capace di disegnare come un bambino».
La sua routine è cambiata negli anni?
«No. In nulla. E questo mi rassicura: i libri che sono stati rifiutati più volte e i libri che sono stati letti da milioni di persone li ho scritti allo stesso identico modo. È quello che amo della letteratura».
Questo modo com’è?
«Amo iniziare molto presto, alle 3 o alle 4 del mattino. A quell’ora lavoro a casa mia e poi, verso le 8, vado nel mio ufficio, come ogni altra persona. Cerco di scrivere sempre, tutti i giorni, anche ora che sono in giro per la promozione: lo scrittore è come un calciatore, si allena sempre».
È anche un po’ un detective, come nei suoi romanzi?
«Sì, nel senso che cerca di mettere insieme i pezzi. Non solo per una storia di omicidio, ma anche per creare un personaggio bisogna capire chi sia, scavare nel suo passato, investigare. E allora sì, sono un detective, perché devo scoprire la verità su qualcuno».
C’è qualcosa che vorrebbe scrivere?
«Qualcosa che riguardi la natura. E, dopo tanti libri lunghi, una storia costruita con la stessa suspence, ma di duecento pagine».