La Lettura, 15 aprile 2024
Biografia di Guglielmo Marconi
Genio e mistero. A 150 anni dalla nascita, il prossimo 25 aprile, Guglielmo Marconi dà ancora parecchio lavoro ai suoi biografi. Il canadese Marc Raboy, storico della comunicazione e tenace segugio sulle orme del pioniere italiano della tecnologia wireless, avrebbe già qualche novità da aggiungere, come l’eventuale esistenza di un nipote segreto, alle 640 pagine (900, nell’edizione originale del 2016) che Hoepli pubblica con il titolo Marconi. L’uomo che ha connesso il mondo, e la traduzione di Enrico Guida.
Già, perché oltre a porre le basi delle trasmissioni senza fili che oggi reggono l’intero pianeta, l’uomo trovò anche il tempo di occuparsi dei brevetti e dei profitti finanziari della sua innovazione, di difenderne la proprietà nei tribunali, di coltivare relazioni politiche ai massimi livelli, di diventare senatore del Regno, di viaggiare, di sposarsi, divorziare e risposarsi. E, non ultimo, di intrecciare un imprecisato ma ampio numero di relazioni extraconiugali, che potrebbero arricchire – chissà – il bilancio della sua progenie.
In ogni caso l’inesauribile corrispondenza intercorsa con le sue amanti e disseminata in giro per il mondo tra biblioteche, archivi, soffitte e cassetti privati, contiene preziose informazioni anche sulla sua vita pubblica, sulla rivalità con Nikola Tesla, Karl Braun e altri inventori, e perfino sui suoi lavori in corso: il «grande esperimento», la «grande cosa» (ovvero la trasmissione di un segnale wireless attraverso l’Oceano Atlantico), cui alludeva scrivendo alla prima fidanzata (destinata a rimanere tale), l’americana Josephine Bowen Holman.
Giorni, mesi, anni – in particolare quelli che Marconi impiegò a spingere il suo segnale nell’etere da un raggio di due miglia alle 2 mila del 1901 e alle 7 mila del 1910 – si susseguono nel racconto di Raboy alternando le vicissitudini scientifiche ai patemi patrimoniali, famigliari e sentimentali. E scandagliando i suoi rapporti con il potere, in Italia e all’estero; e, soprattutto, con Benito Mussolini e con il fascismo.
L’autore è consapevole di aver esplorato l’esplorabile, e inseguito le tracce di Marconi per tutto il mondo, da Oxford alla California: «Credo di essere il primo ricercatore ad aver consultato tutti gli archivi in Inghilterra e in Italia – assicura Marc Raboy da Montréal, dove insegna alla McGill University – compresi quelli generalmente inaccessibili. Molti biografi americani spesso non hanno esaminato le fonti italiane e gli italiani quelle americane. Ho letto tutto quanto era già stato scritto, incontrando molte lacune, assenze, silenzi».
In Italia, secondo il docente canadese, i sospetti di collusione con il regime, durante il ventennio, hanno fatto un po’ ombra al mito di Marconi, nel dopoguerra. Mentre, dai primi trionfali esperimenti fino alla morte, il 20 luglio 1937, era stato l’italiano più noto e celebrato internazionalmente. Un premio Nobel di cui i giornalisti spiavano anche i trambusti privati.
«Marconi – scrive Raboy – è stato con ogni probabilità la prima figura veramente universale della comunicazione moderna. Un secolo prima che figure iconiche come Bill Gates e Steve Jobs entrassero nelle nostre vite, sessant’anni prima che Marshall McLuhan proclamasse che i media sono “l’estensione dell’uomo”, troviamo Marconi. L’esplosione della comunicazione globale sarebbe stata impossibile senza di lui».
Fu contestato da studiosi a lui contemporanei, come il fisico britannico Oliver Lodge, e accusato di aver attinto alla farina di sacchi altrui, ma è dalla sua «scatola magica» che sono scaturite applicazioni allora quasi inimmaginabili, ben oltre l’utilizzo bellico o della Marina militare: televisione, fax, Gps, radar, telefoni cellulari. Quanto riuscì a intravvederne pure le eventuali controindicazioni? Tre anni prima della morte, s’interrogò: «Ho fatto del bene al mondo o ho aggiunto una minaccia?». E, pochi giorni prima, ottenne udienza dal Papa.
«Aveva visto innanzitutto i limiti di cavi e fili nella telegrafia. Il suo obiettivo principale, quindi, era di rompere le barriere. Fin da giovanissimo – spiega Raboy – intuì che fosse possibile comunicare a distanza, per esempio con una barca. Ma aveva certamente anche una visione critica della comunicazione globale. Considerava poco serio l’uso della radio a scopo di intrattenimento leggero e, comunque, non apprezzava la comunicazione a senso unico. Per lui doveva essere bilaterale. In principio non sognava la televisione, il broadcasting e, al contrario dei suoi soci, neppure i vantaggi commerciali che avrebbe potuto ricavarne. Ed è questo il motivo per il quale penso che Marconi sia stato un po’ dimenticato per diversi decenni. Ma da almeno vent’anni viviamo nel mondo che lui aveva immaginato».
Durante una conferenza a Toronto, alla domanda di un ragazzo su come reagirebbe Marconi oggi dinnanzi alla diffusione delle reti social, Raboy rispose d’istinto che ne «sarebbe inorridito». E quanto alle prospettive aperte dall’Intelligenza artificiale, aggiunge ora: «Marconi sarebbe molto prudente. Per lui, la comunicazione globale doveva indubbiamente essere uno strumento di pace, anche se ciò può apparire incoerente con le sue ricerche e i suoi test sul raggio della morte, tanto affascinante per Mussolini». Che non riuscì mai, comunque, a impossessarsi del dispositivo sul quale fantasticava la stampa del tempo e che l’inventore aveva invece rapidamente abbandonato.
I rapporti con l’allora capo di governo riempiono i capitoli cui Raboy si è dedicato con maggior emozione: «Ho fatto un confronto fra Marconi e Maria Montessori. Mentre lei finì per opporsi apertamente al regime, lui criticava Mussolini in privato ma non ne contestava le politiche in pubblico». Per opportunismo? «Direi piuttosto per conformismo. Marconi faceva parte dell’élite e certamente si sforzò in privato di influenzare Mussolini, al quale aveva accesso diretto. Ma, da uomo d’affari, teneva a essere accettato e benvoluto dal potere».
Non era un razzista, tuttavia mise le sue scoperte al servizio del re del Belgio, Leopoldo II, che voleva servirsene nelle proprie colonie: «Alla fine della Prima guerra mondiale Marconi condivideva le ambizioni di Mussolini che rivendicava per l’Italia fascista il “posto al sole”, di cui già godevano Regno Unito, Francia e Belgio».
L’aneddotica personale non è meno appassionante. Raboy racconta la lunga e profonda amicizia dello scienziato con Gabriele d’Annunzio, di dieci anni più anziano, rapito dalla «segreta sensualità» del gesto con il quale «le mani delicate e agili» di Marconi armeggiavano sul trasmettitore alla stazione radio di Centocelle. Il vate dedicò un epico inno in prosa al suo «eroe magico».
E poi c’è la lunga lista di amori corrisposti e non (come quello per l’attrice Francesca Bertini), fino ai tempestosi matrimoni con Beatrice O’Brien, prima, e Maria-Cristina Bezzi-Scali, poi; senza dimenticare la giornalista, avvocata e femminista Inez Milholland, «la persona più importante della mia vita», come stabilì l’innamorato Guglielmo quando lei morì appena trentenne.
«Sappiamo ormai che Marconi era suscettibile di infatuazione per le giovani e attraenti figlie di famiglie che riteneva interessanti», considera Raboy, ricordando in una noticina della sua biografia che «per quanto fosse tirchio con la famiglia, Marconi era generoso, fino alla stravaganza, con le donne con cui aveva una relazione. Nel 1923, in un periodo di due mesi, il suo conto da Cartier sfiorò le mille sterline, circa 75 mila dollari di oggi».
Nel lungo elenco di nomi femminili, in appendice, ce n’è uno che ha riservato una sorpresa al biografo: Florence Clover, all’epoca altrimenti coniugata. «A libro ormai stampato, mi è giunta la lettera di un maturo signore inglese che sostiene di essere nipote di Marconi, con cui la nonna, Florence appunto, aveva avuto una breve ma intensa avventura», racconta, tutt’altro che incredulo, considerato il legame che l’inventore bolognese coltivò con la famiglia Clover.
Nei sei incontri avuti a Roma con Elettra, l’ultima figlia di Marconi e della seconda moglie, Raboy ha sperato invano di poter dare un’occhiata al nutrito carteggio tra i genitori che la donna protegge da occhi indiscreti: «Aveva 7 anni quando il padre morì, e ne conserva una visione eroica» commenta, intrigato, lo scrittore.
Ma per ora quel cassetto rimane chiuso anche per lui.