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 2024  aprile 17 Mercoledì calendario

Così Polanski si prese Hollywood e la trasformò in tragedia greca


Quando Robert Evans si vide recapitare la sceneggiatura diChinatown la lesse due volte di seguito, poi convocò i principali collaboratori e disse «non ci ho capito niente, ma ho capito che è un gran film». Sotto la sua gestione la Paramount aveva conosciuto un enorme successo commerciale con Love story, bissato poi da un trionfo ancora più grande, in questo caso anche artistico, con Il Padrino. Era tale il suo prestigio che nessuno alla Gulf + Western, all’epoca proprietaria della major, riuscì a opporsi quando chiese il finanziamento di un film ambientato nel 1937 del quale non sapeva spiegare la trama.
«È un neo-noir nello stile di Raymond Chandler», disse ai petrolieri, che a stento conoscevano lo scrittore e rimasero perplessi quando aggiunse che parlava della crisi idrica della San Fernando Valley, la corruzione dei politici e dei poliziotti, un incesto e Los Angeles. Rimasero ancora più sconcertati quando spiegò che il quartiere di Chinatown non aveva nulla a che fare con il film e compariva soltanto negli ultimi minuti. Non era di aiuto la fama dello sceneggiatore, un allievo di Roger Corman che aveva americanizzato il nome Bertrand Schwartz in Robert Towne: pochi anni prima, Evans lo aveva scritturato per adattare Il grande Gatsby, ma lui si era rifiutato sostenendo che non avrebbe mai potuto far meglio di Fitzgerald. Lo aveva ritrovato poi sul set del Padrino,utilizzato da Coppola per scrivere il meraviglioso dialogo conclusivo tra don Vito e Michael, inesistente nel romanzo di Puzo. Scoprì quindi che era stato lo script doctor diGangster story e aveva al suo attivo anche la sceneggiatura de L’ultima corvé, il cui protagonista Jack Nicholson ne parlava con ammirazione. A quel punto Evans decise di acquistare il copione di Chinatown ed ebbe l’intuizione di scritturare Roman Polanski, riluttante a tornare a Los Angeles dopo l’uccisione della moglie Sharon Tate nel massacro di Bel Air; tuttavia, appena lesse la sceneggiatura, accettò con entusiasmo e da quel momento cominciò un’interminabile trattativa sul finale: Evans e Towne sostenevano che Evelyn Mulwray, la protagonista femminile, dovesse sopravvivere, mentre Polanski si opponeva drasticamente, ritenendo che un lieto fine avrebbe negato la sostanza del film. Aveva totalmente ragione e, grazie a lui,Chinatown diventò, prima ancora che un neo-noir,una tragedia greca.
È in questa chiave che sono diventati artisticamente compiuti tutti gli elementi della vicenda, a cominciare dall’incesto perpetrato da un padre monumentale e orribile interpretato da John Huston. Ispirato alla figura di William Mulholland, questo grandioso villain ha il nome di Noah Cross, che allude alla tradizione giudaico-cristiana: l’acqua del diluvio di Noè e la croce. È a lui che sono affidate alcune delle battute più memorabili: quando viene definito “rispettabile” risponde «certo che lo sono. Sono vecchio: i politici, le costruzioni orribili e le prostitute diventano rispettabili se durano abbastanza». È un miliardario che riesce a essere minaccioso anche quando mangia e che alla domanda su cosa possa ottenere che già non abbia, replica semplicemente: «Il futuro».
L’ineluttabilità della tragedia trova un contrasto straziante tra la patina elegantissima della fotografia in Panavision di John Alonzo e Stanley Cortez e il disincanto che avvolge personaggi segnati da avidità, corruzione morale e sconfitta esistenziale. Fu Polanski a imporre Faye Dunaway resistendo alle pressioni di Evans per la moglie Ali McGraw e poi per Jane Fonda: vedeva nel suo volto il misto di forza e vulnerabilità che cercava per Evelyn e la truccò come sua madre, morta ad Auschwitz. Non fu mai in discussione invece Jack Nicholson, perfetto per il ruolo dell’investigatore privato Jake Gittes, per buona parte del film col naso incerottato dopo che uno sgherro interpretato da Polanski glielo ha sfregiato con un coltello. Tra i due protagonisti c’è una alchimia che resiste persino quando Gittes schiaffeggia Evelyn chiedendole chi sia la misteriosa ragazza con cui si accompagna sempre. «È mia figlia… e mia sorella» è un’altra battuta memorabile, come lo sguardo di entrambi quando si confrontano nel finale con Noah Cross, sapendo che la polizia di Los Angeles è completamente nelle sue mani. Polanski si è divertito a fargli pronunciare la battuta «va a letto con mia figlia Mr. Gittes?» sapendo che Nicholson era legato ad Angelica Huston. Il film ripropone un ulteriore gioco di specchi con la realtà: l’attore ha scoperto da adulto che colei che riteneva fosse sua sorella era invece la madre.
A cinquant’anni di distanza fa impressione leggere che Chinatown, anche in Italia, venne considerato un prodotto di genere di un regista che aveva compromesso la sua qualità lavorando per Hollywood. A rivederlo oggi, risulta esattamente il contrario: è un capolavoro, nel quale un regista di enorme talento è riuscito a raggiungere l’arte lavorando con il meglio dell’industria hollywoodiana. Pochi film hanno raccontato in maniera così profonda e indimenticabile il marcio della città degli angeli e il finale, tragico ed evocativo, è tra i più belli della storia del cinema. Mentre una folla di orientali accorre incuriosita dai colpi di pistola che hanno ucciso Evelyn, Gittes tenta di ribellarsi di fronte all’ennesima infamia di Noah Cross, ma un amico lo ferma con una battuta saggia e misteriosa: «Lascia stare Jake, è Chinatown».