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 2024  aprile 16 Martedì calendario

Gli esordi di Katalin Karikó


La vita non è come la geografia. Nella vita non esistono località intermedie, solo ponti. Questo periodo della mia vita mi ha portato da qui a lì. Da ogni ponte raccogli delle cose, e queste cose le porti con te, di capitolo in capitolo.Un giorno, un ex collega è tornato a far visita ai vecchi colleghi del laboratorio di patologia. Ci ha portato la lipofectina, una nuova formulazione lipidica che si poteva miscelare facilmente con il Dna, consentendone l’ingresso nella cellula. La lipofectina risultava essere più semplice e riproducibile dei liposomi con cui avevo lavorato io. Inoltre, avendo una carica elettrica positiva aggiuntiva, mentre le membrane cellulari hanno carica negativa, era anche più efficace.Ed eccola qui, preconfezionata e pronta per l’uso.Ho pensato a quello che avevamo passato in Ungheria: Ernó che torna dal mattatoio col cervello di mucca. Tutto quel lavoro certosino per estrarre i fosfolipidi. Ora ecco questa cosa nuova. La lipofectina.Beh, ora tutto è destinato a cambiare, mi sono detta.Siamo arrivati a quella parte della storia che i giornalisti tendono a rubricare alla categoria “una serie di sfortunati eventi”.Avrei lavorato per decenni alla Penn. Questi decenni si suddividono in tre episodi distinti, che hanno coinvolto due dipartimenti e tre medici-scienziati, tutti molto diversi tra loro. Anni dopo, quando la situazione si sarà capovolta e improvvisamente non sarò più una perfetta sconosciuta, un giovane medico con cui avevo lavorato nel terzo di questi episodi (gli anni di Weissman) scriverà un saggio su di me, pubblicato dalla WBUR. Mi dipingerà – in modo né impreciso né scortese – come una persona la cui carriera veniva citata «per sussurri, a mo’ di monito per le giovani generazioni di scienziati».State dunque per assistere alla trasformazione di un individuo in monito. Questo perché i miei tre episodi alla Penn, nonostante le loro differenze, hanno seguito uno schema simile: una serie di intoppi punteggiati da straordinarie conquiste. Le conquiste sono rimaste perlopiù nell’ombra. Gli intoppi, invece? Quelli erano in bella vista.Quanto alla possibilità che io sia realmente un monito, beh, presumo che dipenda da ciò a cui si dà valore.Alcune persone hanno la capacità di metterti a tuo agio nell’istante stesso in cui le conosci. Sarà l’espressione sul viso: quel sorriso disinvolto che sfoderano nel vederti, come se salutassero non uno sconosciuto ma un vecchio amico. Sarà il linguaggio del corpo: quella sorta di inerme affabilità che rivelano mentre allungano il braccio per stringerti la mano. Saranno gli occhi: teneri e scintillanti, capaci di suggerire nel contempo gentilezza e curiosità.Qualunque cosa sia, mi sono sentita subito a mio agio quando ho conosciuto Elliot Barnathan. Poco importa che si trattasse di un colloquio di lavoro; Elliot era cordiale e affabile, come se stare lì seduto davanti a me fosse l’occupazione dei suoi sogni. Mi è parso subito il ritratto della persona perbene, del buon vicino, del bravo cittadino. Del buon collega.Durante quel primo incontro, Elliot mi ha chiesto di mostrargli il mio “libro di laboratorio”, un resoconto scritto a mano degli esperimenti che avevo fatto, con le prove dei risultati. Ha sfogliato attentamente le pagine. Si è soffermato su un paio di punti, completamente assorbito nella lettura. Elliot, all’epoca, aveva dei folti baffi alla Burt Reynolds, quindi non potrei giurarci, ma sono abbastanza sicura di averlo visto sorridere.Mentre lui scorreva le pagine, esperimento dopo esperimento, io aspettavo in silenzio. Alla fine, si è messo ad osservare una pellicola radiografica con i risultati di un northern blot, una tecnica che separa diversi tipi di Rna in bande a seconda delle dimensioni, permettendo di capire esattamente quali tipi di Rna sono presenti in un campione. Non ricordo di quale esperimento si trattasse, ma ricordo il tono di gioioso stupore con cui Elliot mi ha chiesto: «L’hai fatto tu, questo?».Come ho spiegato, era complicatissimo lavorare con l’Rna. Ma lì, nel northern blot che Elliot reggeva tra le mani, c’era la dimostrazione che non era impossibile: la pagina testimoniava la vasta gamma di molecole di Rna che avevo creato evitando che si degradassero.L’hai fatto tu, questo? Ho annuito. Sì. L’avevo fatto io. E avrei potuto farlo di nuovo.L’offerta di lavoro è arrivata in un baleno, dopo quel primo incontro.Elliot era relativamente nuovo nel Dipartimento di cardiologia della Penn, sebbene facesse parte dell’istituto da almeno un decennio. Era un uomo della Penn fin nel midollo. Alla Penn aveva preso la laurea di primo grado, poi, sempre lì, aveva studiato alla Facoltà di Medicina. Alla Penn aveva svolto i tirocini, completato l’internato e conseguito la specializzazione. La vita di Elliot orbitava attorno alla Penn anche nella sfera personale; lì aveva conosciuto sua moglie, e molti dei suoi più cari amici erano affiliati all’università. A volte dicevo per scherzo che Elliot aveva fatto anche l’asilo alla Penn. L’avrebbe fatto, se avesse potuto. Ora aveva una cattedra e stava allestendo il suo laboratorio.Un giorno alla settimana, Elliot lavorava nella clinica di cardiologia della Facoltà di Medicina, prendendosi cura dei pazienti. Ma soprattutto faceva ricerca di base. (La ricerca di base è un’indagine che mira a espandere le capacità di comprensione umane, e ha un approccio più generale rispetto alla ricerca applicata, che risolve problemi estremamente specifici con applicazioni pratiche).In un dipartimento clinico della Facoltà di Medicina – tra un mare di dottori, insomma – una biologa molecolare come me poteva sembrare un pesce fuor d’acqua. Non che la cosa mi creasse imbarazzo; ero dotata di capacità di ricerca che un clinico non poteva avere. Inoltre, lavorare insieme a dei medici, anziché con un gruppo di biochimici, avrebbe avuto quasi sicuramente i suoi vantaggi. Proprio quella era la cosa che apprezzavo di più: la possibilità di imparare.Inoltre, diciamocelo: quando mai non ero stata un pesce fuor d’acqua?Lo stipendio non era un granché, e non si trattava di un incarico di ruolo, quindi non avrei mai avuto la completa sicurezza del posto di lavoro. Godevo, però, di altri vantaggi: avrei potuto vivere di nuovo a tempo pieno con la mia famiglia. Inoltre, speravo che la Penn mi aiutasse a ottenere la green card. Il mio ruolo come assegnista sarebbe durato cinque anni; a quel punto, l’università avrebbe deciso se promuovermi a professore associato. Nemmeno questa promozione mi avrebbe fruttato un lavoro a tempo indeterminato, ma perlomeno avrei avuto l’opportunità di creare un mio laboratorio e lavorare con gli studenti.Io e Béla, nel frattempo, avevamo messo gli occhi su una nuova casa in una tranquilla strada in un quartiere di periferia. Aveva due piani e un ampio prato in pendenza dove Susan avrebbe potuto giocare. Era in un grande distretto scolastico. Potevamo permettercela solo per una ragione: l’interno era un disastro.Ma ero sposata con Mr. Riparatutto. Nessuno sarebbe stato in grado di sistemare una casa come Béla. Certo, magari ci sarebbe voluto un po’, ma sia io che Béla eravamo cresciuti senza l’acqua corrente. Persino una casa in fase di ristrutturazione ci sembrava un lusso.Il giorno in cui ho iniziato a lavorare alla Penn, io e Béla abbiamo firmato i documenti per la nostra nuova casa. —