Corriere della Sera, 15 aprile 2024
Trump e i soldi alla pornostar, primo processo a un ex presidente
NEW YORK Processo senza precedenti da oggi a New York: per la prima volta nella storia americana un ex presidente (e candidato alla Casa Bianca) è sul banco degli imputati di un procedimento penale per il quale rischia il carcere.
Donald Trump ha chiesto fino all’ultimo il rinvio di un processo nel quale è accusato di aver falsificato documenti e violato la legge sui fondi elettorali comprando (con 130 mila dollari) il silenzio della pornostar Stormy Daniels per una relazione sessuale del 2016 (da lui negata). Un secondo caso riguarda un altro rapporto extraconiugale: 150 mila dollari versati all’editore American Media Inc. coi quali l’avvocato di Trump acquistò e fece sparire la storia di una relazione che sarebbe durata 10 mesi, raccontata dalla modella di Playboy Karen McDougal (anche qui The Donald nega).
Non essendo riuscito a bloccare il processo, Trump lo trasformerà nell’elemento centrale della sua campagna elettorale. Del resto già da tempo sta sfruttando i suoi numerosi problemi giudiziari per presentarsi come un perseguitato politico da giudici che lui dipinge come al servizio di Biden. L’ex presidente pensa che, condannato o assolto, otterrà comunque un guadagno politico dal processo di New York. Di tutte le incriminazioni penali che ha avuto, questa è la più debole e quella alla quale può dare più facilmente un colore politico: incriminato a New York, Stato a maggioranza democratica, da un procuratore, Alvin Bragg, afroamericano eletto nel 2022 nelle liste democratiche.
È stato lui a rilanciare l’indagine che i suoi predecessori avevano avviato nel 2019 ma senza mai puntare a un processo che temevano di non vincere. Democratico anche il presidente del tribunale che lo giudicherà, Juan Mercham. Che ha già mostrato molta determinazione nell’impedire a Trump di fare show politici in aula. L’ex presidente dovrà trattenersi dentro il tribunale (a meno che non scelga di testimoniare in prima persona), ma sfrutterà il caso nei comizi e sulle sue piattaforme di comunicazione: già ieri, in un comizio in Pennsylvania, è tornato ad accusare Mercham di averlo imbavagliato violando il suo diritto costituzionale al free speech (in realtà gli è stato vietato di continuare a insultare e minacciare i testimoni del processo e i familiari di procuratori e giudice). Trump continua, poi, ad attaccare Bragg definendolo razzista e incolpandolo per l’aumento della criminalità (che in città, in realtà, è in calo) a causa della mano leggera dei tribunali nei confronti dei delinquenti.
Un possibile vantaggio politico, per lui, il processo a New York, ma svantaggio processuale: in caso di condanna (rischia fino a 4 anni, ma è incriminato per reati punibili anche senza pene detentive) Trump, se diventerà presidente, non potrà autoperdonarsi come potrebbe fare, invece, per le condanne dei tribunali federali. Processi che, però, quasi certamente non verranno celebrati prima delle presidenziali del prossimo novembre.
Il processo durerà dalle 6 alle 8 settimane. Decisiva la selezione dei 12 giurati che probabilmente poterà via parecchi giorni. La giuria rispecchierà la maggioranza democratica di New York, ma per condannare il giudizio deve essere unanime: basta un solo dissidente per annullare tutto e ricominciare quindi daccapo, chissà quando.