Corriere della Sera, 15 aprile 2024
Piani e Armi di Teheran
Una rappresaglia «telefonata» che non toglie sostanza al messaggio simbolico e forte: l’Iran ha superato la linea rossa attaccando in modo diretto Israele. Un’azione calcolata da parte dei pasdaran per stabilire un’equazione con lo Stato ebraico. Se ci colpiscono – ha affermato il loro comandante – li colpiremo. Sperando di riuscire a superare le difese nemiche e contando su nuove armi in continuo sviluppo.
L’intelligence ha fatto il suo mestiere dando l’allarme per tempo. È vero che i mullah non si sono nascosti: la rappresaglia era annunciata ed hanno passato comunicazioni – 72 ore prima dello strike – attraverso canali riservati. Inoltre, non potevano mascherare i preparativi visto il dispiegamento di mezzi. Lo spionaggio è servito a valutare la portata della minaccia, i sensori dei satelliti americani hanno quasi certamente «visto» la fase iniziale, specie il lancio dei cruise. In «ascolto», sull’altra barricata, i russi attraverso le «stazioni» in Siria, curiosi di scoprire dettagli operativi sui rivali.
Gli iraniani hanno «sparato» una falange di missili/droni, a centinaia per ingaggiare le difese dello Stato ebraico. Anche questo era ampiamente previsto ma non da sottovalutare perché risponde ad una proiezione continua da parte di Teheran. La Divisione aerospaziale dei pasdaran ha riprodotto in grande quanto fatto dalle milizie alleate dallo Yemen all’Iraq, testando gli armamenti, le rotte di attacco, le contromosse.
Userà quanto avvenuto in queste ore nel prossimo round, ricorrendo a tattiche e quantità di vettori per soverchiare le «batterie». Specie se dovessero utilizzare i nuovi ordigni balistici affiancati da raid estesi dell’Hezbollah che vanta scorte profonde. La Repubblica islamica – che dispone di circa 3 mila missili – sta dicendo: abbiamo un lungo braccio, lo stenderemo ancora. Non manca, all’opposto, una corrente di pensiero che considera la mossa iraniana un flop, un’incursione «spettacolare» dai risultati modesti. Alcuni commentatori parlano di «coreografia», di un’operazione ampia ma comunque racchiusa entro certi limiti per evitare la guerra totale. C’è sicuramente una componente propagandistica, in questo caso però l’assalto è stato robusto ed ha costretto il nemico – anzi i nemici – ad una mobilitazione. Contano i fatti ma pesa la percezione nella turbolenta arena mediorientale. L’Iran è un po’ di più di una «potenza regionale», per questo si è dotato di materiale bellico con finalità strategiche che si spingono lontano dal Golfo.
La storia insegna: il pericolo Houthi è stato ignorato, ritenuto marginale ed oggi abbiamo i combattenti yemeniti che ostacolano il traffico in Mar Rosso. Capiremo meglio l’impatto dell’attacco quando le versioni ufficiali lasceranno spazio a verifiche indipendenti. Lo scudo, secondo i comunicati israeliani e americani, ha funzionato. Merito della qualità dell’equipaggiamento ma anche del tempo avuto a disposizione per prepararsi alla «botta». Decisivo lo schermo creato dai sistemi anti-aerei israeliani e da quelli messi a disposizione da Usa, Gran Bretagna, Francia e Giordania. Il tutto parte del Mead (Middle East Air Defence Alliance), “coalizione” alla quale partecipano numerosi partners con le loro «antenne» disseminate nello scacchiere. Interessanti, a questo proposito, le annotazioni dell’ex generale Tamir Haydan: la deterrenza esercitata dalla coppia Israele-Stati Uniti non ha fermato Teheran e l’aiuto alleato è stato importante ma pone dei limiti alla libertà d’azione di Tel Aviv.
La volontà di chiudere il round non placa le paure di sorprese. Il comandante dei pasdaran ha dichiarato: abbiamo stabilito un’equazione con Israele, se colpiti colpiremo. E l’ayatollah Khamenei scrive (in ebraico) su X: «Gerusalemme sarà nelle mani dei musulmani». In Israele l’ala più dura del governo preme perché sia restituito lo schiaffo e resta aperto il terreno di caccia dove le milizie filoiraniane sono protagoniste di provocazioni ma diventano anche target di strike che sono messaggi. C’è un grande lavoro dietro le quinte, le capitali interessate recapitano avvisi.
Muovono spie, generali e diplomatici. Tutti sono consapevoli delle troppe trappole disseminate, ritengono che non sia ancora finita, temono altri regolamenti di conti.