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 2024  aprile 15 Lunedì calendario

I signori delle preferenze

C’è chi le carte le scopre apertamente, come l’ex governatore siciliano Totò Cuffaro: «Controllo 140 mila voti», ha ricordato prima di una missione romana in cui è andato a sedersi su quattro tavoli diversi, quelli dei renziani, dell’Udc, della Lega e di Forza Italia. Nessuno sinora se l’è preso, quel “tesoretto” in possesso di un ras del consenso con le stimmate di una condanna per mafia, ma poco conta. Sbaglia chi pensa che nelle elezioni in cui si gioca il futuro dell’Europa, mentre lucidano le sedie da capolista per generali-scrittori, giornalisti, simboli dell’accoglienza e dei diritti civili, i leader di partito abbiano rinunciato a presidiare il territorio con acchiappavoti di comprovata esperienza. Che alla fine, anche stavolta, faranno la differenza.
«Come in Champions»
Il viaggio da Sud a Nord ripercorre la via della clientela, dei pacchetti di preferenza trasmessi da padre a figlio e spesso a dispetto delle ideologie che pure, alle Europee, di solito dovrebbero continuare ad avere un peso. Se il vicepremier Antonio Tajani, il leader che ha fatto sopravvivere FI alla scomparsa diBerlusconi, aspira oggi alle cariche più alte di Stato e Ue, il merito è anche di chi, in Sicilia, mette fieno in cascina. Come Edy Tamajo, un assessore regionale di Schifani che alle ultime elezioni ha conquistato il record di preferenze nell’Isola, 21 mila solo a Palermo: Tamajo, negliultimi 15 anni, ha navigato sotto coperta nel centrodestra e nel centrosinistra. Ma sempre nella maggioranza regionale. Con il fiuto e un solido capitale di voti che gli ha trasmesso il padre Aristide, che oggi siede nell’amministrazione comunale esattamente come accadeva cinque lustri fa. Ex calciatore dilettante, Tamajo jr. alla vigilia dell’appuntamento si emoziona: «Le Europee? Come giocare in Champions league». Segnatevi il nome, almeno in finale ci arriva.
I 18 simboli
Dalla Sicilia in cui, oltre a Cuffaro, un altro ex governatore come Raffaele Lombardo flirta con FI, parte anche la nuova avventura di Cateno De Luca, che ha chiuso il rapporto con Renzi con una pernacchia e tenta l’avventura solitaria alla guida di un esercito di 18 liste: «Autonomisti veri», rimarca lui. Mapure No Vax, ipercattolici, pensionati, leghisti d’antan. Un mucchio selvaggio. Il masaniello messinese ha conquistato da solo l’uno per cento alle Politiche e ora guarda in alto: «Un milione di voti e andiamo a Bruxelles». L’ex ministro del Carroccio Roberto Castelli lo sostiene:«Al 4 per cento ci arriva più facilmente lui che Bonino o Calenda».
De Luca è un esempio a parte di corridore anti-sistema. Gli altri califfi frequentano le segreterie dei partiti maggiori. E sposteranno gli equilibri.
Mi manda Gava
Guardate quello che sta succedendo in Campania, nel Pd, con la possibile candidatura di Raffaele “Lello” Topo, già sindaco di Villaricca per dieci anni, consigliere regionale della Campania, deputato. Lello è un democristiano di antica fede, figlio di Ciccio che fu autista personale di Antonio Gava. Attualmente Lello Topo –incredibile dictu – è senza carica. «L’altra volta ho fatto eleggere Speranza, ora tocca a me», sibila. Ma la sua presenza, nella circoscrizione Sud che vedrà in campo Lucia Annunziata e Antonio Decaro, mette in ambasce altri nomi di rilievo come Pina Picierno e Sandro Ruotolo.
La corte a Lady Mastella
Ma si può rinunciare ai portatori più o meno sani di suffragi? Certo che no, dice Matteo Renzi, intento a corteggiare la signora Mastella, l’ex deputata Sandra Lonardo, con il benestare del marito Clemente, già ministro, che non vede l’ora di rimettere un piede nelle istituzioni che contano. E tutto ciò malgrado il capo di Italia Viva solo tre anni fa attaccava duramente “lady Mastella” colpevole di cercare voti per il Conte-ter. Al punto da far perdere la pazienza persino a lei: «Io sarò una lady – sbottò Lonardo ma lui non è né un sir né un gentleman».
Il Berlusconi del Molise
I voti, si sa, costringono a giravolte e spostamenti repentini. Come quello di Aldo Patriciello, il ras di Venafro, il Berlusconi molisano a capo di un impero imprenditoriale con al centro le cliniche, un altro democristianissimo passato dall’Udc a Forza Italia, capace di prendere nel 2019 il triplo dei voti del Cavaliere in Molise (onta mai perdonata) e scippato da Salvini a Tajani appena un paio di mesi fa. Con lo sdegno dei leghisti del Nord: «Qualcuno mi dica se stiamo con Patriciello o con gli estremisti di destra dell’Afd perché qui non si capiscepiù nulla», afferma l’ex segretario del Carroccio in Lombardia Paolo Grimoldi.
Voti nel cappio
Salvini, d’altra parte, prova a sparigliare il gioco con la candidatura contestatissima del generale Vannacci ma ai portatori d’acqua ci tiene, eccome. Basti pensare al caso di Angelo Ciocca, estroso eurodeputato uscente tornato agli onori della cronaca per aver riscoperto la pratica leghista del cappio, stavolta sventolato a Bruxelles davanti alla presidente della Bce Christine Lagarde, o per avere “espulso” pubblicamente la presidente Metsola presentandosi con cartellino rosso e fischietto nell’aula dell’Europarlamento. L’espulso, in realtà, stava diventando lui, solo pochi mesi fa, in seguito a un procedimento disciplinare che l’aveva messo ai margini della Lega. Ma la vicenda è finita in cavalleria, Ciocca ha continuato la sua opera di persuasione anche attraverso i servizi che la sua società di ingegneria offre agli enti del territorio. E sarà in corsa regolarmente per il Carroccio. Il tempo passa, la Lega non ha più il 30 per cento, ma nel dubbio perché rinunciare anche a una sola quota dei 89.752 voti presi nel 2019 dal “bulldog” di Pavia?
Il re dei cacciatori
Il Carroccio, peraltro, deve afforontare un’emorragia di consensi nel Nord-Est, antico granaio saccheggiato da FdI. Il recordman di consensi alle Regionali del 2020, l’assessore regionale Roberto Marcato, da tempo anima critica della Lega, allarga le braccia: «Una miacandidatura? Dal partito non si è fatto vivo nessuno». In compenso, fra i meloniani, s’avanzano due protagonisti d’obbligo della galleria degli aspiravoti. Uno, anzi una, si chiama Elena Donazzan, pasionaria di Pove del Grappa, innamoratissima di Almirante («Un gigante della politica e innamorato della Patria») e infinita amministratrice della Regione Veneto. Dove il termine”infinita” va inteso in senso letterale: è assessora regionale, ininterrottamente, dal 2005. Diciannove anni, un’eternità, con una delega redditizia come il Lavoro. Ha cambiato solo il partito, da Forza Italia a FdI, con una ostentata coerenza che non le ha impedito, qualche tempo fa, di intonareFaccetta nera durante una trasmissione radiofonica. Ora il tentativo di salto a Bruxelles, sulla spunta di centinaia di 6x3 con il suo volto e lo slogan: «Una di parola». Donazzan cominciò il suo percorso nello staff di un collega di partito dal quale ha imparato l’arte della politica porta a porta: Sergio Berlato, il re dei cacciatori in una regione in cui le doppiette hanno da sempre un rilevante peso elettorale. Per la vicinanza a questa categoria, nel 2014, Berlato fu fatto fuori dalle liste da Forza Italia che a traino di Michela Brambilla aveva scoperto l’animalismo. Unica pecca, nella carriera di Berlato nel frattempo passato a FdI, nel 2019 secondo solo a Giorgia Meloni alle Europee. Uno che i consensi li ha nel sangue ed è pronto a tramandarli ai parenti anche acquisiti: quando si candidò il genero, nel 2020, Berlato scrisse una lettera ai 7 mila cacciatori vicentini della sua associazione. Raccomandando così il candidato: «Ha sposato mia figlia, quindi è affidabile». Ora ci riprova, con una serie di incontri sul territorio, anche se non è certo della ricandidatura per via delle sue posizioni no-vax: «Rischio il posto ma non mollo». Nel frattempo in Veneto si è messo in azione l’inossidabile Flavio Tosi, ex sindaco di Verona e traghettatore di anime perse della Lega che in questi giorni ha fondato una nuova sigla, Forza nord, per far valere la sua stazza politica e attrarre dirigenti ed elettori. Per delineare i confini dell’ennesimo califfato.