La Stampa, 15 aprile 2024
Mister 100 milioni
Le cifre sono ancora da definire. Ma il costo dell’operazione industriale è stato stimato in ogni dettaglio. L’investimento complessivo che sancirà il passaggio di Amadeus al Nove si avvicina ai 100 milioni di euro (guarda caso la stima della raccolta pubblicitaria dell’ultimo Sanremo) per 4 anni. Ovvero 25 milioni a stagione.
In sostanza più del doppio di quanto avrebbe messo in campo Discovery Warner Bros (circa 40 milioni di euro) per portare sul Nove Fabio Fazio (ma con un appuntamento settimanale) e far schizzare lo share a oltre il 10% ogni domenica sera, (con una crescita esponenziale rispetto al 2023). Naturalmente si tratta di un’operazione studiata nei dettagli dall’ad Alessandro Araimo e dal suo staff italiano e che vedrà (salvo ripensamenti che ormai appaiono improbabili) il “re” di Sanremo, il conduttore di Affari tuoi (media vicina al 28% di share ogni sera) al centro di una striscia quotidiana di access time e della conduzione di un format musicale sul modello (ancora da definire nei dettagli editoriali) di XFactor in prime time.
Da qui, i conti presto fatti: il format di Sky così come altri show del genere costa circa 10 milioni di euro a stagione (in quattro anni fanno 40 milioni di euro) a cui si deve aggiungere la striscia quotidiana per oltre duecento serate l’anno e l’acquisizione e la produzione di un nuovo format tipo i Soliti ignoti (senza escludere che possa essere proprio lo stesso, visto che i diritti con la Rai sono in scadenza di contratto). E così la cifra arriva a 100 milioni con circa il 10 per cento che andrebbe nel portafoglio del conduttore: una cifra importante per Amadeus ma anche vicina ai compensi Rai. Insomma, non sono i soldi ad aver convinto l’artista a lasciare la Rai e a fare la differenza in questa trattativa ma la coerenza industriale ed editoriale nel percorso di crescita avviata dal Nove.
Amadeus non diventerà più ricco ma la Rai sarà certamente più povera. Il gap tra Rai e Nove è nell’attrattività industriale. A pesare nella scelta sono state la solidità manageriale della squadra guidato da Araimo e le prospettive offerte da Discovery di fronte alle strategie a corto raggio di una Tv pubblica sempre più zavorrata da lacci e lacciuoli della politica. Come dire: da una parte la filosofia di una media company moderna, rapida, snella nei processi decisionali, con scelte basate su business plan solidi e con ritorni economici, con un management che da dieci anni è sempre lo stesso. Dall’altra, le proposte dei dirigenti di viale Mazzini che non solo cambiano a ogni stagione politica ma che legano e incrociano i loro destini (da sempre naturalmente e non solo da oggi) e quelli aziendali ai partiti di governo ma anche agli umori e ai rapporti di forza delle coalizioni che si modificano a ogni piccola o grande tornata elettorale e talvolta anche ai desideri e agli umori di ogni singolo leader, fazione, capo e mezzo capo di corrente. E di fronte alle esitazioni, alle indecisioni, ma anche ai nuovi possibili assetti futuri (con la scadenza del Cda) e forse pure al cambio degli interlocutori Amadeus, con amarezza raccontano, ha scelto di discutere del suo futuro con interlocutori affidabili che mettendo sul piatto 100 milioni di euro chiariscono con i fatti il perimetro del progetto che intendono costruire e realizzare intorno a un fuoriclasse dell’intrattenimento come lui (non c’è bisogno di citare i dati).
Con la sua uscita la Rai è nella sua ora più difficile, non solo perché perde il “meglio” di quello che aveva in video ma perché non riesce ad essere più centrale nel panorama televisivo nonostante sia ancora leader nello share.
Insomma, si è incrinato qualcosa che forse nemmeno l’era berlusconiana con il suo enorme conflitto d’interesse aveva incrinato: a partire dal taglio del canone varato da questo governo alla riforma dei generi nelle mani di pochi “prescelti” che incrocia i destini di programmi e conduttori. «La Rai senza una vera riforma della governance e senza un’interpretazione autentica della natura giuridica rischia di tirare le cuoia», chiarisce l’ex direttore generale Agostino Saccà che nel 2000 lanciò al grande pubblico Amadeus con il programma In Bocca al Lupo. «Se la Tv pubblica è stata necessaria in passato quando era in monopolio e poi nel duopolio con Mediaset – aggiunge -, oggi è ancora più necessaria man mano che cresce il peso della concorrenza e il fascino dell’offerta televisiva delle piattaforme anche sui cellulari. È indispensabile ora aggiornare i nostri codici espressivi nazionali e spingere con la Tv pubblica la crescita dei nostri talenti, degli autori, degli scrittori». Perché, afferma, «se non accade qualcosa subito resterà ben poco. Siamo sull’orlo del burrone. E l’uscita di Amadeus oggi e quella di Fazio ieri mi pare spingano in questa direzione».
È chiaro, dunque, che servono risorse e certezze. A cominciare dal canone. «Se il nostro è un quarto di quello della tv inglese, e un quinto di quella tedesca – sostiene – non significa che sono sciocchi loro ma che forse noi stiamo sbagliando. Non c’è più tempo, siamo vicini al burrone. Credo che se i governi non prendono atto di un passaggio stretto, epocale come questo la nostra tv pubblica sarà un ricordo».
E lo sarà, soprattutto, per quelle diciotto milioni di famiglie italiane che «secondo i dati Istat non possono permettersi i cosiddetti consumi “sofisticati”, ovvero libri, pay tv, di andare al cinema. Lasciare una Rai senza risorse significa allargare il fossato ancora di più tra famiglie agiate e quelle con maggiori difficoltà, quelle più povere. In questi settant’anni di storia la Rai ha unito il Paese, ha condiviso consumi, allargato platee, ha sostanzialmente offerto – insiste l’ex numero uno di viale Mazzini – a tutti le stesse emozioni senza guardare al censo. Senza un Rai forte sul mercato il gap tra poveri e ricchi è destinato a crescere». —