il Fatto Quotidiano, 15 aprile 2024
Il nuovo teatro di Capalbio: orrendo e inutile ecomostro
“Questo anfiteatro dà a Capalbio il ruolo che nel tempo ha acquisito – ha detto il presidente della Toscana, Eugenio Giani – Capalbio è uno dei centri di riferimento a livello nazionale e internazionale”. “Ora Capalbio può realizzare un sogno”, ha aggiunto l’assessore regionale Leonardo Marras. Per il sindaco Gianfranco Chelini, “Capalbio ha tanti contenuti culturali ma non aveva un contenitore degno di questo nome, siamo lieti che la Regione ci abbia accompagnato in questo percorso”.
Basterebbe questo lancio dell’Ansa a chiedersi cosa sia successo alla classe dirigente del Pd toscano. I tre politici si riferiscono al teatro (chiamandolo però, erroneamente, anfiteatro: come quelli in cui gli imperatori romani compravano il consenso con i giochi gladiatori…) progettato dalla, nel frattempo defunta, archistar Maurice Nio. Una struttura la cui base, dice La Nazione, “sarà realizzata in calcestruzzo gettato in opera. Le aree di seduta saranno realizzate con pannelli prefabbricati in calcestruzzo rifiniti con pietre di mosaico di vetro. Dietro le sedute, sotto una collina artificiale, i servizi: bagni, spogliatoi, un’area tecnica e un’area di circolazione dove riporre gli oggetti”. Detto in altre parole: la collina di Poggio a Leccio, che oggi ospita un oliveto secolare e un piccolo teatro scoperto in mattoni e cotto, sarà cementificata da una struttura che funzionerà forse per tre mesi l’anno, e la cui presenza modificherà per sempre il paesaggio incantato in cui è miracolosamente incastonato il borgo di Capalbio. Il tutto in un momento in cui il consumo di suolo zero è l’imperativo morale di una generazione che rischia davvero di essere l’ultima, per il cambiamento climatico e i relativi disastri che abbiamo innescato spinti da un’idea malata di crescita infinita.
Si discute oggi dottamente della differenza che corre tra ambiente e paesaggio: ecco, il teatro di Capalbio può mettere d’accordo tutti, perché li violenta entrambi in quello che, più che un sogno, appare un incubo.
Se ci si chiede perché mai ai politici toscani questa bella impresa sembri così urgente, cioè perché serva così impellentemente un ‘contenitore’ per gli eventi estivi, la risposta va cercata nella mercificazione spinta dello spazio pubblico della cittadina: le piazze di Capalbio sono infatti ormai totalmente occupate dai tavoli dei ristoranti, in un grande mangificio all’aperto che ha attuato anche nella cittadina maremmana quello stesso processo che ha devastato Venezia e Firenze, espellendo i residenti. Una catena perversa di cause e di effetti, come si vede.
E non è finita. La Regione Toscana sosterrà metà delle spese di questo bell’aggeggio di cemento, e il resto graverà sulle casse del Comune. Lo stesso Comune che, guarda caso, ha rinunciato a restaurare il palazzo storico che aveva ospitato le scuole, la sede sanitaria e lo stesso municipio. Si tratta di un palazzo edificato nella seconda metà dell’Ottocento, ubicato a mezza costa tra l’antica cinta muraria e la vallata, con visuale sul mar Tirreno da Civitavecchia all’Argentario. Fino al 2021, il palazzo era protetto da un vincolo, poi apparentemente (quanto inspiegabilmente) rimosso. Ora i cittadini di Capalbio temono che il Comune pensi addirittura di demolirlo, e hanno rivolto alle autorità una petizione in cui analizzano lucidamente la situazione (“La narrazione mediatica offre oramai l’immagine di Capalbio e del suo un territorio inesatta, un paese che da diversi anni soffre di un gravissimo spopolamento. Oramai da molto tempo si assiste alle chiusure stagionali di quasi tutti gli esercizi commerciali, da circa ottobre a fine febbraio-marzo, per mancanza di avventori. Le offerte di lavoro a tempo indeterminato, per i giovani e meno giovani sono notoriamente esigue. In altre parole, la vita economica e sociale dei pochi abitanti stabili non è facile”) e propongono di non costruire il mitico “anfiteatro” magnificato da Giani & c., e invece di restaurare e utilizzare proprio la vecchia sede del Comune: “Capalbio riteniamo abbia bisogno di una sede stabile per mostre d’arte, per un antiquarium, per incontri musicali e, in generale di sale didattiche, per l’arte, la storia, l’archeologia e la tradizione, in ogni periodo dell’anno ed il luogo deputato è costituito – a nostro avviso – dall’antico Municipio”.
In basso c’è evidentemente tutta la saggezza che manca in alto: non nuovo cemento, ma recupero e riuso di strutture storiche abbandonate; non luoghi commerciali pensati solo per turisti, e per pochi mesi l’anno, ma spazio pubblico pensato per tutte e tutti, e lungo tutto l’anno. Non consumo insostenibile, ma un progetto di crescita civile che non mangia suolo e non devasta la comunità. La normalità, insomma: e dunque la rivoluzione, anche nella Toscana (già) del buongoverno.